Smartworking e gender gap nelle pubblicazioni scientifiche
Durante la quarantena, tra il cosiddetto “lavoro agile” e la chiusura delle scuole, sono emerse le disparità di genere nel mondo della ricerca scientifica.
Stiamo progressivamente andando verso l’agognata fine del lockdown. Con le dovute precauzioni, usciamo di più, e molte persone stanno tornando alla normalità: i luoghi di lavoro stanno riaprendo, o hanno già riaperto. Alcuni non hanno mai chiuso, ma hanno cercato di reinventarsi, promuovendo lo smartworking, il lavoro da casa o “lavoro agile”. Questa probabilmente sarà un’eredità che ci porteremo dietro ancora a lungo: molti uffici tendono infatti ancora a far stare a casa chi può svolgere le proprie mansioni da remoto, in modo da organizzare gli spazi tenendo conto delle distanze di sicurezza, necessarie in questa fase.
Una recentissima ricerca sulla soddisfazione rispetto al “lavoro agile”, ci dice che il 60% degli intervistati continuerebbe con lo smartworking anche dopo la fine dell’emergenza, mentre il 22% preferirebbe tornare in ufficio (il restante non si esprime). La ricerca mostra che la maggioranza di quel 60% è composta da uomini, mentre si tratta prevalentemente di donne se parliamo di quel 22% che vorrebbe rientrare sul posto di lavoro. Ma perché? Prima di provare a rispondere, vediamo cos’è accaduto nel mondo accademico scientifico, dall’inizio della pandemia.
Gender gap nel mondo della ricerca scientifica
Partiamo dal presupposto che, durante l’emergenza pandemica, il mondo del lavoro è stato totalmente sconvolto, e tutte le famiglie, con o senza figli, si sono trovate nella condizione di dover riorganizzare la propria routine quotidiana. È stato necessario far coesistere il lavoro con la gestione della casa, dividersi i compiti e magari alternarsi nella gestione dei figli: con le scuole chiuse e l’impossibilità di affidarli a una babysitter anche solo per un paio d’ore, non è stato facile.
Tale difficoltà ha riguardato in modo trasversale tutti i settori occupazionali, tra cui quello della ricerca scientifica. Nel mondo accademico, infatti, l’avanzamento di carriera e la possibilità di ottenere fondi per la ricerca dipendono dalla qualità e dalla quantità delle pubblicazioni. Questo significa lavoro e impegno costante, e non è compatibile con il prendersi cura a tempo pieno della casa e dei figli. Se si considera poi che tali occupazioni sono svolte per una percentuale maggiore da donne (rispetto agli uomini) comprendiamo che sono state queste ultime a essere penalizzate durante la quarantena. A ciò si aggiungono altri fattori, che portano poi di fatto a una disparità di genere molto forte. La percentuale femminile nel mondo scientifico è significativamente più bassa rispetto a quella maschile, e proprio per questo gli istituti di ricerca sono costantemente impegnati nel cercare di colmare quanto più possibile questo gap.
In una ricerca del Michelle R. Clayman Institute for Gender Research sulla carriera di coppia nel mondo accademico, effettuata proprio allo scopo di proporre strategie vincenti per trovare ricercatrici donne, si sottolinea come le assunzioni di coppia da parte delle università siano un’ottima mossa in questo senso. La motivazione è che queste ultime tengono in grandissima considerazione l’opinione del proprio partner nella scelta di un lavoro. Oltre all’opinione, conta moltissimo anche quali conseguenze avrebbe per il compagno tale cambiamento occupazionale. Le donne hanno inoltre maggiori probabilità rispetto agli uomini di avere partner accademici, il che complica ovviamente il processo decisionale. Il 21% delle ricercatrici ritiene la propria posizione lavorativa meno importante di quella del partner, mentre il 50% degli uomini è convinto che la propria carriera sia più rilevante rispetto a quella della compagna. Questa forse è una delle motivazioni per la quale un quarto degli uomini che hanno un impiego nel mondo accademico hanno una compagna che non lavora, mentre solo il 5% delle donne impegnate in questo settore ha un partner che accetta di occuparsi della casa e dei figli a tempo pieno.
Cosa accade poi alle ricercatrici che riescono finalmente ad ottenere un lavoro? Anche qui il quadro non è rassicurante.
Una ricerca compiuta tra il personale dei laboratori inglesi tra il 2012 e il 2018 riporta che le donne fanno molta difficoltà rispetto agli uomini ad ottenere un avanzamento di carriera. Hanno accesso a spazi più piccoli in laboratorio e in media il salario è notevolmente più basso di quello dei colleghi, anche avendo iniziato il percorso lavorativo a un livello più alto; le docenti donne supervisionano inoltre gruppi di studenti e dottorandi molto più esigui, ricevono meno collaboratori se a capo di un laboratorio e ottengono meno risorse per le loro ricerche.
E per quanto riguarda le pubblicazioni?
La Royal Society of Chemistry ha pubblicato un report in merito alle pubblicazioni tra il 2012 e il 2018. “Siamo in presenza di una serie di discriminazioni nell’accesso alle pubblicazioni, le quali concorrono a porre le donne in una posizione di svantaggio rispetto alla divulgazione delle loro ricerche. Vogliamo capire dove e come questo avviene” (traduz. dell’autrice). Insomma, le donne pubblicano meno, ricevono meno citazioni e i loro articoli tendono a essere accettati più raramente. Questo non riguarda solo il mondo della ricerca chimica. L’Institute of Physics di Bristol sottolinea in una ricerca come i revisori dei papers tendono a favorire i manoscritti di autori dello stesso genere. Questo discrimina le donne perché tendono a essere sottorappresentate come redattrici di riviste o come revisori indipendenti. I numeri di quest’ultimo report fanno impressione: tra il 2014 e il 2018, le pubblicazioni per l’IOP appartengono per il 78% ad autori maschi, mentre solo il 22% è stato scritto da donne.
Covid-19 e ricerca: gli uomini stanno pubblicando di più
Alle disuguaglianze già presenti nel mondo scientifico, si è aggiunto anche il fattore della pandemia da Covid-19.
Da metà febbraio, a emergenza pandemica inoltrata, il mondo della ricerca si è mobilitato per capire e studiare il nuovo Coronavirus, e le pubblicazioni scientifiche hanno avuto un incremento esponenziale. Megan Frederickson, dell’Università di Toronto, ha compiuto un’analisi minuziosa in due tra i più importanti archivi nei quali vengono pubblicati i preprint, ovvero gli articoli scientifici in attesa di peer review. Si tratta di arXiv e bioRxiv: il primo contiene articoli di svariate discipline, tra cui fisica, matematica e statistica, il secondo è una delle maggiori piattaforme per le pubblicazioni di biologia.
Al fine di determinare il genere di oltre 73.000 autori su 36.529 preprint, la Frederikson ha confrontato i nomi con quelli nel database dei nomi dei bambini della Social Security Administration degli Stati Uniti. Questo genere di analisi presenta alcuni limiti, come l’usanza, nel mondo delle pubblicazioni scientifiche, di utilizzare spesso solo le iniziali, oppure il fatto che i nomi stranieri vengono riconosciuti a fatica. Nonostante ciò, i risultati sono interessanti. Alla luce di quanto abbiamo detto, non dovrebbe stupirci sapere che nell’incremento delle ricerche sul Covid-19, sono aumentate in modo significativo le pubblicazioni maschili, molto di più rispetto a quelle femminili.
Megan Frederickson ci mette in guardia: non solo le donne si occupano dei bambini, oppure molte possono essere single senza figli. “Le tendenze in entrambi i server sono coerenti con l’ipotesi che la pandemia stia danneggiando in modo sproporzionato la produttività delle ricercatrici. Per quanto tempo persisterà questo effetto e quali potrebbero essere le conseguenze a lungo termine per le pubblicazioni su riviste e per le carriere accademiche, sono domande aperte”.
Ecco perché le donne vogliono uscire dallo smartworking più degli uomini, ed ecco perché la riapertura delle scuole, dei nidi e dei centri estivi è necessaria. Non tutte le donne torneranno in ufficio, ma sicuramente tutte le mamme lavoratrici avranno bisogno di un aiuto. In attesa ovviamente di un cambiamento più generale nella società, che ci porti una vera parità di genere.
Leggi anche: “Inferiori”, come la scienza ha penalizzato le donne
Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Fotografia: Pixabay