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“Inferiori”, come la scienza ha penalizzato le donne

Scritto dalla giornalista Angela Saini, "Inferiori" descrive il sessismo presente dietro un certo modo di fare scienza scandagliando decenni di letteratura scientifica sulle differenze di genere, dai lavori dei primi biologi e medici di età vittoriana alle ricerche dei nostri giorni.

Le donne sono naturalmente più empatiche e meno aggressive degli uomini, ma anche meno creative e intelligenti. Il cervello femminile è strutturalmente diverso da quello maschile. I cromosomi sessuali condizionano la psiche tanto quanto l’aspetto fisico. Il ruolo degli ormoni nel definire la nostra identità di genere e il nostro comportamento è evidente: gli uomini sono guidati dal testosterone, le donne da estrogeni e progesterone. Le bambine amano giocare con le bambole, i bambini preferiscono le macchinine. La forza e la furbizia dell’uomo è stata modellata nel corso della sua storia di cacciatore e predatore, mentre le donne, relegate al ruolo di raccoglitrici, non hanno avuto la possibilità di sviluppare appieno le loro facoltà cognitive e per questo sono ancora oggi deboli e remissive.

Ci fermiamo qui, ma l’elenco potrebbe andare avanti a lungo.

Luoghi comuni e stereotipi di genere rafforzano e alimentano sessismo e discriminazioni, eppure nel corso della storia questa narrazione tossica ha trovato terreno fertile ed è riuscita a prosperare anche grazie alla legittimazione della scienza.

Non un semplice saggio divulgativo

Scritto dalla giornalista scientifica inglese Angela Saini nel 2017 e pubblicato in traduzione italiana dalla HarperCollins nel 2019, Inferiori è un libro importante. Nei suoi otto capitoli l’autrice scandaglia decenni di letteratura scientifica sulle differenze di genere, dai lavori dei primi biologi e medici di età vittoriana alle ricerche condotte oggi con strumentazioni sofisticate come la risonanza magnetica funzionale e descrive – dati alla mano – il sessismo presente dietro un certo modo di fare scienza, ancora oggi profondamente radicato all’interno di una grossa fetta della comunità scientifica.

Inferiori non è un libro a tesi: gli argomenti sono affrontati con la massima trasparenza e onestà intellettuale, senza pregiudizi o teorie preconcette. L’autrice ha consultato decine di esperte ed esperti in svariati campi e discipline, dall’antropologia alle neuroscienze, dalla primatologia alla biologia evolutiva, dagli studi di genere alla medicina. Alcuni di loro sono fervidi sostenitori delle differenze innate tra uomini e donne, altri invece si oppongono con forza a questa visione dicotomica, che trovano semplicistica e legata a doppio filo a stereotipi duri a morire. Saini non ha bisogno di prendere posizione in modo netto, ma lascia che a parlare siano i dati e i fatti; mettendo a confronto teorie e ipotesi contrastanti porta il lettore a riflettere sulle difficoltà e i passi falsi della scienza e sulla complessità di questioni che alcuni si ostinano a liquidare in modo semplicistico.

Scienza e sessismo

“Lo studio di cui avete letto sul giornale che sostiene che gli uomini siano più bravi delle donne a leggere mappe o a parcheggiare”, scrive Saini, “può essere del tutto contraddetto da un altro studio che ha utilizzato come campione una popolazione diversa”. Le teorie divulgate da certe riviste di psicologia popolare sono “poco più che piccoli frammenti di prove non affidabili, inserite in una narrazione”. E questa narrazione è spesso intrisa di sessismo inconsapevole, invisibile perché parte integrante di un sistema patriarcale, da sempre dominato e gestito dagli uomini.

“C’è qualcosa, quando si parla di genere, che ottenebra le menti”; all’inizio del testo Saini riporta queste parole di Mari Ruti, autrice di The Age of Scientific Sexism. Siamo portati a credere che la scienza sia il regno delle verità oggettive, ma le cose sono decisamente più complicate. Scienziati e scienziate sono esseri umani: il filtro interpretativo utilizzato, ciò a cui nel corso di una ricerca si dà importanza e ciò che invece si decide di tralasciare, dipende spesso da variabili che possono condizionare e distorcere i risultati. Se i ricercatori sono soprattutto uomini, questo non può non avere conseguenze.

La scusa è sempre la stessa. Per usare le parole di Geoffrey Miller – uno dei numerosi scienziati citati  nel libro, autore di una teoria secondo cui gli uomini sono naturalmente migliori delle donne per ragioni evolutive – “il fatto che una teoria sembri sessista non è una buona ragione per bandirla”. È la scienza, bellezza. Bisogna accettarla, anche quando i suoi risultati sono politicamente scorretti e si scontrano con la nostra visione del mondo. Leggendo il libro di Saini, però, emerge una realtà ben diversa: se un certo modo di fare scienza appare sessista, è probabile che lo sia davvero; ed è questo sessismo di fondo, spesso inconsapevole, a produrre determinati risultati.

Le origini vittoriane e le ricerche più recenti

L’origine di questo approccio risale all’epoca vittoriana. In un periodo in cui la scienza – intesa come strumento privilegiato per la comprensione oggettiva della realtà – stava acquisendo sempre più importanza, sono stati proprio gli scienziati a farsi portatori dell’idea di una inferiorità naturale della donna nei confronti dell’uomo. A cominciare da Charles Darwin. In una lettera inviata all’attivista Caroline Kennard, il padre dell’evoluzione affermava che le donne “sebbene generalmente superiori agli uomini in qualità morali, sono intellettualmente inferiori”. Nell’Ottocento la sessualità e la libertà femminile erano represse da così tanto tempo da far apparire assurdo che gli scarsi successi delle donne non fossero dovuti a un dato biologico. “Per favore, fate prima in modo che l’ambiente delle donne sia simile a quello degli uomini e che abbiano le stesse opportunità, e poi potrete giudicare con equità se sono inferiori all’uomo dal punto di vista intellettivo” è la risposta di Kennard a Darwin. Darwin era figlio del suo tempo, Kennard un’anticipatrice, una voce fuori dal coro destinata a restare inascoltata per decenni.

La visione della donna di epoca vittoriana ha condizionato gran parte delle ricerche condotte negli ultimi cento anni. Nel libro viene dato spazio ad alcune tra le più importanti teorie sulle differenze biologiche tra uomini e donne, molte delle quali hanno avuto un notevole successo e godono tuttora del riconoscimento di una grossa fetta della comunità scientifica. Dall’esperimento sui moscerini della frutta condotto dal genetista Angus Bateman nel 1948 e ripreso dal biologo Robert Trivers nel 1972, che dimostrerebbe come i maschi siano naturalmente portati al tradimento e le femmine a essere passive, alle varie ricerche volte a sancire la superiorità dell’uomo sulla base di presunte evidenze antropologiche o attraverso comparazioni con la struttura sociale degli scimpanzé (trascurando però i bonobo), sino alla teoria elaborata pochi anni fa dallo psicologo e neuroscienziato Simon Baron-Cohen, secondo cui il cervello femminile sarebbe predisposto sin dalla nascita all’empatia, mentre quello maschile sarebbe progettato per analizzare e costruire sistemi.

Una diversa concezione della scienza, una nuova immagine della donna

L’idea che la nostra identità sia definita unicamente dalla biologia è semplicistica e antiquata, un retaggio della mentalità vittoriana, a sua volta frutto di una struttura sociale che nel corso dei secoli si è sviluppata in modo patriarcale. Dal libro di Saini emerge invece un quadro sfaccettato e complesso, in cui natura e cultura sono intrecciate in modo tanto fitto da rendere quasi impossibile capire dove finisca la prima e inizi la seconda. C’è ancora oggi una forte resistenza al cambiamento, tanto da far apparire un’impresa improba il rovesciamento di quest’idea sclerotizzata di scienza. Negli ultimi anni, però, le voci dissonanti si sono moltiplicate. Si tratta soprattutto di donne, scienziate come Gina Rippon e Anne Fausto-Sterling, Melissa Hines e Brooke Scelza, Zuleyma Tang-Martinez e Sarah Hrdy. Neurologhe, primatologhe, biologhe, antropologhe consapevoli delle distorsioni dovute al sessismo e intenzionate a cancellare questo bias portando avanti una diversa concezione della scienza. Dalle loro ricerche, cui Angela Saini dà ampio spazio, emerge con forza una nuova immagine della donna: per nulla remissiva o subalterna, né tantomeno complementare nella  sua diversità – com’è spesso definita da scienziati inconsapevoli dei loro pregiudizi – ma dotata delle medesime attitudini e capacità intellettive dell’uomo.

“Sono diventata una scienziata nello stesso momento in cui diventavo una femminista. Le due cose hanno coinciso”, dice la biologa dell’evoluzione Patricia Gowaty, intervistata da Angela Saini. Non è un caso. Come nota l’autrice nella postfazione di Inferiori, fra le decine di persone contattate durante la realizzazione del libro, praticamente tutte quelle che lavorano per smontare le ricerche negative sulle donne e smascherare gli stereotipi si sono dichiarate femministe. Il femminismo, messo al servizio della scienza, è uno strumento indispensabile; il migliore di cui disponiamo per accelerare il cambiamento.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.