Agnelli Vegetali e dove trovarli
Nasce una nuova rubrica di OggiScienza dedicata a storie fantasiose, leggende, avvenimenti mai accaduti, pratiche inefficaci e teorie che oggi chiamiamo pseudoscientifiche.
Informazioni tramandate tra secoli e continenti, le cui origini a volte si perdono, man mano che diventano parte di un sapere comune. A volte idee o accadimenti fittizi riescono a inquinare il presente in cui si svolgono, per poi disperdersi e ritornare come storia; smentita, ridimensionata ma comunque significativa. Le vicende secolari legate a una particolare creatura leggendaria, la cui reale esistenza era considerata sicura benché sfuggente, rappresentano un perfetto esempio di questo processo.
La creatura di cui parliamo oggi è l’Agnello Vegetale della Tartaria (chiamato anche “Agnello di Scizia”, “Barometz” o “Polypodium borametz”), un essere che possedeva caratteristiche sia animali che vegetali e che dà il nome alla nostra rubrica.
L’Agnello Vegetale era una pianta che fioriva pecore, viventi, belanti e legate a una sorta di cordone ombelicale: uno stelo che terminava con radici ben piantate nel terreno. La pecora si cibava di ciò che poteva raggiungere nei limiti di spazio concessi dalla lunghezza del suo guinzaglio vitale. Una volta esauriti i nutrienti disponibili, sia la pianta che il suo fiore si seccavano e morivano. Testimonianze raccolte nel corso di viaggi avventurosi, campioni e reperti custoditi per secoli nelle Stanze delle meraviglie di tutta Europa, hanno contribuito a cementare la convinzione che esistesse – nella vastità dell’Asia centrale – una pianta animale (o un animale vegetale), la cui lana era usata per confezionare tessuti o per le sue millantate proprietà medicinali.
Da dove deriva la leggenda dell’agnello vegetale?
L’origine della leggenda della pianta animale nasceva, secondo le prime ricostruzioni, da alcune figure giocattolo molto comuni in estremo oriente: piccoli “agnelli” ottenuti dal rizoma di una pianta realmente esistente, la Cibotium barometz, una felce lanuginosa. Solo successivamente si avanzò l’ipotesi – a oggi la più accreditata – che l’Agnello vegetale non fosse altro che un modo per spiegare l’origine della fibra di cotone, ricavata dalle piante del genere Gossypium. Denis Diderot, ha dedicato all’Agnus scythicus una voce nella prima edizione dell’Encyclopédie. Diderot ricorda quelli che secondo lui erano i principali responsabili della diffusione della leggenda in Europa; e commenta:
«Questo articolo ci darà l’occasione di esprimere idee più utili contro la superstizione e il pregiudizio che non la semplice messa in discussione dell’utilità dell’agnello di Scizia come cura per chi sputa sangue. Kircher, e dopo di lui, Giulio Cesare Scaligero, hanno scritto una favola meravigliosa; e l’hanno scritta con il tono serio e persuasivo che non manca mai di convincere la gente. Sono individui la cui intelligenza e onestà sono al di sopra di ogni sospetto: tutto parla a loro favore: sono creduti; e da chi? Dalle più grandi menti del loro tempo; e così tutta una schiera di scrittori, con un’autorità ancora più grande della loro, arriva a dare il proprio sostegno alla favola. Nel processo si costruisce un consenso così imponente che chi viene dopo non ha né la forza né il coraggio di resistere, e alla fine la gente crede che l’agnello di Scizia esista davvero.»
Fu Henry Lee, naturalista, a dedicare un intero volume per spiegare l’origine dell’Agnello vegetale. The Vegetable Lamb of Tartary fu pubblicato nel 1887 e segnalato sulle pagine di Nature del 22 dicembre dello stesso anno. Lee ricostruisce le possibili origini della creatura vegetale leggendaria, di cui si trovano tracce già a partire dal passato più remoto, come nel caso di alcuni racconti appartenenti alla tradizione popolare ebraica. Il religioso e viaggiatore Odorico da Pordenone (1280 – 1331), di ritorno dai suoi viaggi in Cina, India e Asia Minore, fu tra i primi a riportare che in Persia si potessero trovare zucche che, giunte a maturazione, davano alla luce animali del tutto simili agli agnelli.
Sigismund von Herberstein, ambasciatore degli imperatori d’Austria Massimiliano I° e Carlo V° tra il 1517 e il 1526, affermò che fonti credibili confermavano l’esistenza di creature sbocciate da semi che somigliavano a quelli dei meloni, piantati sulle coste del Mar Caspio. I frutti delle piante, alte circa 80 centimetri, erano agnelli, dalla carne morbida e saporita come quelle dei crostacei. A metà del XVII secolo l’esistenza dell’Agnello Vegetale era ancora diffusa e confermata da studiosi considerati autorevoli dai loro contemporanei, come Athanasius Kircher e Giulio Cesare Scaligero.
La fine della leggenda
I primi, veri, dubbi, cominciarono a emergere poco dopo. Sul finire del secolo, Sir Hans Sloane, naturalista inglese, arricchì la collezione della Royal Society con un esemplare di Cibotium barometz, la pianta all’origine del mito. Sloane affermò che l’agnello di cui tanto si parlava, non era altro che parte del rizoma della felce. Una volta privata delle foglie, capovolta e appoggiata su un tavolo, la pianta poteva, in qualche modo, ricordare un agnello. Nel 1659, il naturalista tedesco Antonius Deusing aveva pubblicato una dissertazione, mirata a sfatare il mito dell’Agnello Vegetale. Deusing portava con sé una tesi molto convincente: la certezza che nessuno fosse mai riuscito a coltivare o osservare un Agnello Vegetale in vita. Il botanico e naturalista tedesco Engelbert Kaempfer – che per primo descrisse il Ginkgo biloba – dedicò alcune ricerche sull’origine dell’Agnello Vegetale durante un viaggio in Persia nel 1683. In quell’occasione, dopo aver parlato con gli abitanti del luogo, concluse che non poteva trattarsi d’altro che di una leggenda tramandata per secoli, la cui origine era ormai sfuggente.
Fu così che, in maniera graduale ma inesorabile, la verità sull’Agnello Vegetale venne alla luce e l’idea dell’esistenza di una creatura con una combinazione di tratti animali e vegetali si dissipò. Nel XVIII e XIX secolo alcuni studiosi provarono a ricercare l’origine di questo mito. Una delle ricostruzioni più convincenti, come già ricordato, è stata quella di Henry Lee, per il quale l’Agnello Vegetale serviva a spiegare la diffusione del cotone. Le opere letterarie più moderne riconducono l’Agnello Vegetale al suo universo di appartenenza, quello della fantasia. È il caso di Jorge Luis Borges che descrive il Barometz ne “Il libro degli esseri immaginari”.
«L’agnello vegetale della Tartaria, detto anche borametz o polypodium borametz o polipodio cinese, è una pianta a forma di agnello coperta di lanugine dorata. Si erge su quattro o cinque radici; intorno le piante muoiono ma lei si mantiene rigogliosa; quando viene tagliata, versa un succo sanguigno. I lupi la divorano con piacere.» [Tratto da “Il libro degli esseri immaginari”, p. 51, Jorge Luis Borges, nella traduzione in italiano di Ilde Carmignani, Adelphi Edizioni, 2006]
Agnelli vegetali oggi
Oggi è ancora possibile ammirare alcuni esemplari di agnelli vegetali, portati in Europa dal lontano Oriente come prova incontrovertibile della loro esistenza. È il caso di quello raccolto da John Tradescant (botanico vissuto tra il 1580 e il 1638) e parte della collezione del Garden Museum di Londra.
L’incedere incerto dell’umanità verso la comprensione del perché delle cose è contraddistinto anche da errori, forzature, ripensamenti e sviste: tanti agnelli vegetali che per periodi più o meno lunghi sono stati parte del nostro sapere riconosciuto e applicato. In futuro, è probabile, ne coglieremo molti altri. Forse ne stiamo coltivando alcuni proprio adesso, senza averli ancora riconosciuti. In questa rubrica parleremo degli agnelli vegetali del recente passato: teorie e pratiche pseudoscientifiche che ci hanno accompagnato in una parte del nostro cammino, prima di appassire.
Leggi anche: “Sulle tracce del DNA”: intervista a Claudia Flandoli
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.