CERVELLI ARTIFICIALI

Le equazioni del cielo e l’incognita Covid

Tra le conseguenze inaspettate dell’epidemia c’è un peggioramento della qualità delle previsioni del tempo. Abbiamo cercato di capire il perché con il meteorologo Carlo Cacciamani, che ci ha raccontato come si studia l’atmosfera e cosa è cambiato durante il lockdown.

Che la pandemia abbia cambiato tanti aspetti delle nostre vite è ormai un fatto assodato. Non tutti sanno, però, che le numerose restrizioni imposte nella fase più critica hanno avuto un impatto anche in ambiti molto lontani da quello sanitario: tra gli effetti del Coronavirus ci sarebbe anche un peggioramento dell’accuratezza delle previsioni meteo. Qual è il legame tra questi due aspetti? 

Per rispondere a questa domanda, ci siamo fatti aiutare da Carlo Cacciamani, fino a poche settimane fa dirigente del Centro funzionale centrale della Protezione Civile a Roma e oggi responsabile della Struttura idrometeoclima dell’Arpa Emilia Romagna, che ci ha spiegato come procedono nella pratica i meteorologi e che cosa è mancato durante il lockdown.

Il tempo, adesso

Per prevedere come sarà il tempo tra qualche ora o giorno, prima di tutto si deve partire dalla situazione che c’è in questo momento, descrivendola nel modo più accurato possibile.

“Oggi ci sono tanti dati, che però arrivano da fonti diverse, non tutte attendibili allo stesso modo”, esordisce.

Le stazioni di monitoraggio sono delle piccole casette di legno al cui interno si trovano strumenti, che registrano informazioni come temperatura, umidità, pressione atmosferica. Per raccogliere dati significativi da un punto di vista scientifico, l’ubicazione delle capannine segue fedelmente le regole dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia, che, tra le varie, fissa un’altezza minima di installazione da terra. “Le stazioni producono dati molto buoni, ma purtroppo non hanno una distribuzione uniforme in tutto il mondo. In Africa, per esempio, sono presenti in numero ridotto”, nota Cacciamani. 

Lo stesso discorso vale per le piattaforme radar, che inviano una radiazione verso l’atmosfera e, misurando come questa viene rispedita a terra, riescono a raccogliere informazioni utili sulle nubi e le precipitazioni: “In Italia abbiamo 23 piattaforme, ma nei Paesi in via di sviluppo la copertura è più modesta”.

Ecco che per studiare anche le aree più remote, oceani compresi, vengono in soccorso i dati satellitari, meno precisi ma in grado di assicurare una maggiore copertura.

Un’altra preziosa fonte di dati sono gli aerei di linea. Attrezzati con sensori, i velivoli raccolgono informazioni, in genere nelle fasi di partenza e atterraggio. “I dati degli aerei vengono poi codificati con un codice internazionale e inviati nei centri meteo di tutto il mondo, andando a costituire una tessera importante del mosaico delle condizioni meteo”, spiega Cacciamani. 

Dai dati al meteo

I meteorologi inseriscono tutti i dati di partenza nei modelli numerici, equazioni matematiche che descrivono le dinamiche dell’atmosfera. I modelli vengono fatti girare su computer potentissimi, in grado di digerire tutte le informazioni ed elaborare uno scenario di previsione in tempi rapidi: “Per una previsione a 10 giorni bastano pochi minuti”. Fino a qualche decennio fa tutto ciò era semplicemente impensabile: “Negli anni ‘50 i tempi di elaborazione erano superiori ai tempi reali”. In altre parole, era inutile cercare di capire se avrebbe piovuto da lì a tre giorni, perché il risultato sarebbe arrivato dopo 72 ore.

Oggi il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf), che coinvolge una trentina di Paesi, sforna continuamente previsioni numeriche ad alta risoluzione. A partire da queste, ciascuna nazione elabora le proprie previsioni del tempo.

Ecco che possiamo rispondere alla domanda iniziale: che cosa è cambiato durante la primavera 2020? “La situazione di pandemia ha bloccato sia voli di linea – il traffico aereo è stato drasticamente ridotto – sia la manutenzione alle reti di monitoraggio al suolo, visto che le persone non potevano recarsi fisicamente alle capannine. Questo ha impedito di mantenere nel tempo un livello di qualità elevato dei dati di partenza”, spiega Cacciamani.

Così le previsioni sono diventate meno precise. “I modelli oggi sono molto solidi e riescono a compensare qualche lacuna dei dati. Ma solo in parte, perché un certo effetto comunque si è visto”. 

La previsione intelligente

In futuro, problemi relativi all’accuratezza delle previsioni potrebbero essere risolti da nuove tecnologie. Risale a poco prima del periodo Covid l’annuncio di Google dello studio di un nuovo modello di previsione meteo basato sull’intelligenza artificiale, in grado di ottenere risultati con altissima risoluzione in tempi brevi.

“L’intelligenza artificiale si sta sviluppando in maniera potentissima”, commenta Cacciamani. Questa tecnica, diversamente dai modelli numerici tradizionali, non utilizza le leggi della fisica e del moto dei fluidi già conosciute, ma prevede che gli algoritmi imparino in autonomia le dinamiche del cielo osservando i dati forniti dagli scienziati. 

“Questi algoritmi sono promettenti perché vanno a rispondere all’esigenza di migliorare la qualità delle previsioni, specialmente in un arco temporale in cui oggi non funzionano così bene”. I meteorologi sono infatti soliti distinguere tra previsioni a breve termine (dove ci si limita a osservare il tempo che c’è adesso per dire che cosa succederà nelle prossime ore) e a lungo termine (dove si usano i modelli numerici e la fisica, per azzardare come sarà il tempo domani o tra due giorni). “Tra questi due c’è un lasso di tempo, intorno alle 12-18 ore, in cui la previsione perde di qualità. Ed è soprattutto qui che l’intelligenza artificiale potrebbe dare una grossa mano”.


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Immagine: Pixabay

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Viola Bachini
Mi occupo di comunicazione della scienza e della tecnologia. Scrivo su giornali e riviste, collaboro con case editrici di libri scolastici e con istituti di ricerca per la comunicazione dei risultati al grande pubblico. Ho fatto parte del team che ha realizzato il documentario "Demal Te Niew", finanziato da un grant dello European Journalism Centre e pubblicato in italiano sull'Espresso (2016) e in spagnolo su El Pais (2017). Sono autrice del libro "Fake people - Storie di social bot e bugiardi digitali" (Codice - 2020).