ANIMALI

(Animali) On The Road

In Italia, gli incidenti causati dalla fauna selvatica sono un fenomeno in costante crescita. Nel 2015, Riccardo Fontana, dello Studio Geco, ha avviato un progetto di prevenzione. Sperimentato in Emilia-Romagna, presto sarà adottato da altre regioni.

“Quattro cinghiali hanno fatto ingresso in autostrada A14 (…) attraverso una falla nella recinzione, andando persino a oltrepassare il new jersey che separa le due carreggiate. Mentre due di loro si sono subito allontanati nei campi circostanti, gli altri due sono stati investiti: il primo da un’autovettura, il cui impatto ne provocava la morte sul posto, il secondo, invece, da un mezzo pesante che lo feriva gravemente”.

Queste poche righe sono tratte da Il Resto del Carlino, ma potremmo trovarne di simili in qualsiasi quotidiano. Gli incidenti con la fauna selvatica sono un problema diffuso: la sola Emilia-Romagna, dal 2012 al 2017, ne ha censiti oltre 4000. Due al giorno di media.

Chi si occupa di gestione faunistica si è impegnato a cercare soluzioni per mitigare il fenomeno. Tra di loro c’è Riccardo Fontana. Nel 2015, assieme ai colleghi dello Studio Geco, alla Regione Emilia-Romagna e all’Ispra, ha avviato un progetto sperimentale inserito nel piano faunistico venatorio delle Marche e discusso anche in Liguria. Ne racconta i dettagli ad OggiScienza.

Due linee di azione

Per ridurre il numero di incidenti si possono fare due cose: avvertire i conducenti e avvertire gli animali. Fontana e i suoi colleghi hanno sviluppato più soluzioni per entrambi i fronti, basate su un’accurata conoscenza del territorio e delle specie target il cui attraversamento si vuole prevenire, vale a dire gli ungulati (daini, caprioli, cinghiali e cervi).

«La prima cosa che abbiamo fatto è stato creare una banca dati con le informazioni raccolte dalla Regione Emilia-Romagna per renderci conto delle dimensioni del fenomeno, dell’andamento temporale e delle situazioni più critiche».
I dati raccolti dai Centri di Recupero della Fauna Selvatica e dai servizi veterinari delle Asl consentono di individuare le strade dove è più alto il rischio di collisione. Attraverso indagini più mirate, si possono evidenziare i passaggi effettivamente utilizzati dagli animali per attraversare, dove occorre concentrare i sistemi di allerta e dissuasione.

Avvertire i conducenti

La prima mossa attuata è stata passare da una indicazione generica di pericolo a un sistema di allerta della presenza effettiva degli animali. Come? Posizionando ai lati della strada sensori tarati sulle dimensioni delle specie target. «Si attivano per animali dalla taglia di un cane in su. Mediamente, infatti, daini, cervi e caprioli sono animali che pesano oltre i venti chilogrammi».

Questi sensori, dotati di termocamere, laser o infrarossi, comunicano con una centralina elettronica, a sua volta collegata ai classici cartelli di segnalazione posti sulla careggiata.
«Quando l’animale viene intercettato, i sensori mandano una comunicazione ai cartelli tramite la centralina. I segnali iniziano a lampeggiare, avvertendo il conducente che c’è un pericolo reale in avvicinamento».

È una soluzione efficace, ma solo se gli animali non cambiano abitudini. «Facciamo un esempio. Quando installo l’impianto attorno alla strada c’è un prato. A un certo punto, il proprietario del terreno decide che è più vantaggioso coltivarlo a frumento. Il paesaggio cambia e con esso possono modificarsi i percorsi solitamente usati dagli animali, che potrebbero smettere di attraversare in quel punto. Deviando dal percorso, però, evaderebbero i sensori».

In casi simili, occorre mappare nuovamente l’area, rintracciare le nuove vie usate dagli animali e reinstallare i sensori, verificando che la distanza tra questi e la centralina non crei problemi.
Un secondo modo di allertare chi guida è utilizzare pannelli capaci di attirare l’attenzione.
«Oggi, un po’ dappertutto si trovano i cartelli di pericolo triangolari con il capriolo che salta. Proprio perché sono ovunque, però, si tende ad ignorarli. Ci si è oramai assuefatti, tanto più che al segnale raramente corrisponde un pericolo reale».

La cartellonistica proposta su Wildlife & Roads è quindi realizzata con l’intento di non creare assuefazione e punta ad evocare in maniera esplicita il problema, in alcuni casi riportando anche il numero di sinistri avvenuti in quel tratto di strada.

Dissuadere gli animali

Il secondo fronte mira ad allertare gli animali del pericolo in arrivo, dissuadendoli dall’attraversare la strada in quel momento.

In questo caso, i sensori vanno installati sui marginatori che delimitano la carreggiata. Quando un’auto sopraggiunge, la luce dei fanali colpisce il sensore che rilascia una scarica di suoni e luci nella gamma percepibile agli ungulati, cui appartengono le specie più coinvolte negli incidenti. Quanto basta per dissuadere gli animali.

«Prima dell’installazione effettiva, queste soluzioni sono state testate in natura. Abbiamo accoppiato gli strumenti a delle fototrappole per poi misurare, sul numero totale di video, quante volte gli animali scappavano nella direzione voluta all’attivarsi della barriera. La risposta è stata favorevole, motivo per cui sono stati installati sulla strada».

«Questo tipo di soluzione ha il vantaggio di attivarsi solo quando sta effettivamente passando un’auto. Dal punto di vista ecologico, perciò, non costituisce una barriera permanente: normalmente, infatti, gli animali possono comunque transitare».

Se invece è necessario creare una protezione continua, ecco che entra in gioco un altro tipo di strumento. «Sebbene sia sempre un dissuasore ultrasonico, è in grado di produrre un’onda d’urto paragonabile, per potenza e intensità, a quella prodotta da un martello pneumatico posto a un metro di distanza dall’orecchio umano». Più che sufficiente per tenere lontano gli animali, senza recare fastidio alla nostra specie, poiché funziona nella gamma degli ultrasuoni. Ciò consente di effettuare l’installazione anche nei centri urbani.

Efficacia e costi

Per verificare potenzialità, efficacia e fattori critici, le soluzioni ipotizzate sono state testate sul campo, con risultati assai incoraggianti. In tre dei quattro tratti stradali interessati, le collisioni sono scese a zero; nel quarto sono calate della metà rispetto al periodo pre-installazione. Altrettanto positivi sono stati i risultati ottenuti dai dissuasori, capaci di innescare in buona misura reazioni di fuga nella direzione desiderata.

A differenza di altri progetti che si occupano di prevenzione di incidenti con la fauna selvatica ma necessitano di costante manutenzione, «i nostri impianti sono pensati per essere allestiti su tratti molto estesi, perciò non richiedono lavoro straordinario rispetto a quella che si fa normalmente, salvo che qualcuno non colpisca gli apparecchi durante un incidente. Sono anche pensati per durare a lungo: le apparecchiature installate cinque anni fa, per esempio, funzionano ancora, e sono sopravvissute egregiamente anche alle piogge che, lo scorso novembre, hanno bersagliato l’Emilia».

Il costo di un impianto comprensivo di sensori, dissuasori e cartellonistica è di circa 3500€ a chilometro. Una cifra che può essere ottimizzata selezionando con cura i tratti di strada e i punti specifici dove collocarli. Come abbiamo visto, conoscere il territorio e gli animali con cui si deve interagire è fondamentale. Ed è proprio a questo proposito che Fontana ribadisce l’importanza di una corretta e accurata gestione faunistica.

La terza direttrice: dall’azione al pensiero

«Abbiamo parlato di avvisare i conducenti e di dissuadere gli animali. La terza direttrice sarebbe gestirli, formulando un piano faunistico serio ed efficace. Questo esula dal nostro progetto, perché riguarda le Regioni, ma è sinergico ad esso».

In senso ampio, questo significa riconoscere l’importanza di considerare le esigenze e le abitudini della fauna selvatica nella pianificazione del territorio e delle infrastrutture. «Dove ci sono situazioni particolarmente a rischio, non possiamo fare a meno di studiare le popolazioni selvatiche che creano problemi per capirne consistenza, abitudini e comportamenti in quella zona».

Dal punto di vista pratico, la sottovalutazione della conoscenza zoologica si paga a caro prezzo: in rimborsi per gli automobilisti danneggiati, in costosi adeguamenti delle infrastrutture, in opere di prevenzione (come reti o eco-passaggi) di scarsa applicabilità.

«Ora, posso risolvere questo problema al 100%? No, non si può. Però si può mitigare in misura rilevante, tenendo sempre conto che i danni non sono soltanto economici: persone sono morte», insieme a molti animali, del resto. Quindi, se l’interesse alla vita si unisce all’interesse economico, resta solo una domanda: perché no?


Leggi anche: Ritratto animale: il cinghiale (e la sua gestione) in Italia

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Elisa Baioni
Laureata in Scienze Filosofiche all'Università di Bologna. Frequenta il Master in Comunicazione della Scienza 'Franco Prattico' di Trieste. Ha scritto per Galileonet; per Rickdeckardnet e per Animal Studies. Collabora con le scuole per attività di didattica formale e informale. Appassionata di scienza, etiche ambientali e postumanesimo. Preoccupata per il brutto clima.