LIBRI

Animali selvatici e dove trovarli

Gli animali selvatici in Italia a volte reclamano i loro territori, da noi sistematicamente ridotti. Il libro di Daniele Zovi ci racconta se e quanto è difficile incontrarli e come comportarsi.

Dopo l’aggressione da parte di un’orsa il 22 giugno a carico di due uomini sul monte Peller, in Trentino, si è tornati a parlare prepotentemente della gestione di questi e altri animali nel nostro Paese. Non potrebbe esistere lettura più azzeccata di “Italia selvatica. Storie di orsi, sciacalli dorati, lupi, gatti selvatici, cinghiali, linci, lontre e un castoro” di Daniele Zovi, scrittore e divulgatore, esperto di foreste e di animali selvatici.

Una delle critiche mosse più spesso, in casi di aggressioni, è che l’orso sarebbe stato portato qui, ma queste montagne non sono davvero la sua casa. In realtà, leggendo, si scopre che non è così: fino al 1600 l’orso era presente in tutta Italia, nelle foreste di pianura, collina e montagna. All’inizio dell’800 era ancora diffuso in tutto l’arco alpino, ma quando la persecuzione umana si è fatta più sistematica e gli ambienti adatti a questo animale si sono ridotti con i cambiamenti nell’organizzazione territoriale, tra il 1850 e il 1950, si è arrivati a livelli prossimi all’estinzione, ovunque tranne che in Trentino occidentale e poche aree limitrofe. Anche qui, però, gli animali non compiono più spostamenti, fino a ridursi a una quindicina di esemplari negli anni sessanta e a tre-quattro negli anni novanta. È a questo punto che prendono piede alcune iniziative culminate nel progetto Life Ursus: tra il 1999 e il 2002 vengono rilasciati dieci orsi, tre maschi e sette femmine, provenienti dalla Slovenia. L’orso, in Trentino, non è mai scomparso, anche se ci è andato molto vicino.

Ma cosa fare se ne si incontra uno sulle Alpi? Bisogna cercare, per quanto possibile, di mantenere la calma, fare un po’ di rumore, parlare ad alta voce, allontanarsi senza correre, lasciandogli sempre una via di fuga, senza lanciare oggetti o cibo. Può succedere che si alzi sulle zampe posteriori, ma questo, a differenza di quanto avviene nei film, non è da interpretare come un gesto minaccioso: come per la marmotta e la lepre, questa posizione serve per identificare meglio un oggetto sconosciuto. Se ci si imbatte in un orso che si sta cibando di una preda, o in un cucciolo, la cui madre potrebbe essere nelle vicinanze, occorre adoperare particolare cautela. Se non è provocato, però, l’orso non attacca, e l’eventuale atteggiamento minaccioso o aggressivo ha la sola intenzione di intimorire e allontanare chi lo ha disturbato.

Nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise si trova invece l’orso marsicano, una vera e propria sottospecie dell’orso bruno, rimasta isolata circa 4000 anni fa. A livello genetico si sono manifestate varie mutazioni, è più piccolo, ha uno strato di pelo e di grasso inferiore ed è meno aggressivo, non si conoscono casi di attacchi diretti all’uomo.

Orso Bruno Marsicano – Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (Cortesia immagine: Antonio Macioce, fotografo naturalista, www.antoniomacioce.it)

Se le foto di questi plantigradi sembrano assomigliarsi un po’ tutte, e anche quelle dello stesso orso in situazioni diverse non sembrano evidenziare un’ampia gamma di espressioni, così non avviene per il lupo: il primo è un animale solitario, non ha bisogno di far capire agli altri i propri stati d’animo, mentre per il secondo la comunicazione con gli altri membri del branco è un elemento centrale. L’ululato ne è la forma più spettacolare, udibile anche a parecchi chilometri di distanza e fondamentale per rinsaldare i vincoli del gruppo, per avvertire i vicini della presenza del branco – ribadendo la propria supremazia sul territorio – ed evitare incontri fortuiti. Per segnalare minaccia o allarme utilizzano il ringhio, e molte altre vocalizzazioni, specie tra madre e cuccioli, sono molto simili a quelle dei cani. I lupi possono anche abbaiare, ma lo fanno molto raramente. Grazie ai numerosi muscoli facciali, poi, questo animale può assumere diverse espressioni, che insieme all’atteggiamento di tutto il corpo, alle vocalizzazioni e alle comunicazioni olfattive lo rendono il membro di “un gruppo di individui che si spostano, cacciano, si nutrono e riposano insieme, in libera associazione ma uniti l’uno con l’altro da vincoli sociali”.

Lupo Appenninico – Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (Cortesia immagine: Antonio Macioce, fotografo naturalista, www.antoniomacioce.it)

Anche lo sciacallo vive in piccoli gruppi familiari, e ulula: un verso estremamente selvaggio. È molto difficile da vedere: non si tratta di un animale abitudinario, anche se tendenzialmente preferisce spostarsi di sera, di notte o di primo mattino, ed è molto sospettoso. È più snello e minuto del lupo, ha un muso più stretto e appuntito e una coda più corta, con il mantello di colore grigio-rossastro, muso, mento e gola bianchi o biancastri e testa e zampe ruggine e ocra. Un altro animale molto difficile da vedere e quasi impossibile da censire è il gatto selvatico, simile a un soriano dal punto di vista estetico, ma con una struttura sociale simile a quella dei leoni, con i maschi solitari e le femmine che crescono insieme i piccoli. Contrariamente a quanto si pensava, si trova in tutte le regioni italiane, anche se sempre a quote più basse rispetto alla neve. Altrettanto elusive e decisamente meno numerose sono le linci – dalle quali comunque non bisogna temere un attacco -, e lontre e castori, dopo aver patito il rovescio della medaglia di avere una pelliccia molto apprezzata dall’uomo, stanno lentamente tornando.

Iniziano a incontrarsi fin troppo facilmente, di contro, i cinghiali: specie dopo l’introduzione a scopo venatorio di alcuni esemplari dell’Est Europa dopo la Seconda guerra mondiale, in assenza di predatori e per l’abbondanza di fonti alimentari si sono moltiplicati a dismisura, diventando frequenti visitatori di paesi e città. Nonostante questo, non in tutte le regioni è stato emanato il divieto di allevamento a scopo di ripopolamento, e anche la caccia deve essere effettuata in maniera corretta, se non si vuole che sia controproducente: il prelievo degli esemplari più grandi determina un maggior successo riproduttivo delle classi femminili più giovani, e questo si traduce in un rapido incremento nel numero di esemplari, maggiore di quello osservato in popolazioni non cacciate. Bisogna costruire e mantenere una corretta piramide di età, formando selecontrollori e cacciatori esperti che seguano le regole indicate da biologi preparati.

La natura, con il suo lato selvatico, ci attrae, ma al tempo stesso ci spaventa. Non essere gli unici predatori sul territorio, poi, non sembra andarci troppo a genio. Eppure, se vogliamo ecosistemi in salute, devono essere presenti tutti gli anelli della catena, compresi quelli che ci incutono timore o di cui nutriamo scarsa fiducia. Daniele Zovi ci racconta alcune loro storie, ci spiega come si comportano e come comportarci con loro, facendoci innamorare del lato selvatico dell’Italia che per troppo tempo abbiamo cercato di soffocare. Anche se i lupi sono sempre dipinti come i cattivi delle favole, grazie alla loro capacità di adattamento, alla resistenza alle condizioni difficili e all’elevata presenza di prede, “occuperanno nuovi territori, sempre accompagnati da storie reali o fantastiche, da ammirazione e perplessità, da amore e odio.” E, con loro, si spera, anche gli altri protagonisti di questo libro.


Leggi anche: L’orso e Homo sapiens: alla riscoperta della wilderness

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.