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Brenda Milner, la neuropsicologa che ha svelato i misteri della memoria

Pioniera nel campo delle neuroscienze cognitive, considerata da molti la fondatrice della neuropsicologia, Brenda Milner ha dato un contributo fondamentale alla comprensione delle basi cerebrali che sottendono al funzionamento della memoria umana

“La gente pensa che, essendo molto anziana, dovrei assumere il ruolo di professoressa emerita. Be’, non ne ho alcuna intenzione. Sono una ficcanaso, sapete, una persona molto curiosa”.

La neuropsicologa anglo-canadese Brenda Milner, 102 anni compiuti lo scorso 15 luglio, non lascia che lo scorrere del tempo condizioni la sua vita. Ancora oggi, nel 2020, lavora attivamente presso il dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia della McGill University di Montreal, dove oltre 70 anni fa ha avuto inizio la sua straordinaria carriera.

Pioniera nel campo delle neuroscienze cognitive, considerata da molti la fondatrice della neuropsicologia, Brenda Milner ha dato un contributo fondamentale alla comprensione delle basi cerebrali che sottendono al funzionamento della memoria umana. Negli anni Cinquanta ha studiato, assieme al neurochirurgo William Scoville, il caso di Henry Molaison, forse il paziente amnesico più famoso nella storia delle neuroscienze. È soprattutto grazie a lei se oggi sappiamo che i processi mnemonici sono fenomeni complessi, legati a regioni specifiche del cervello. 

Gli inizi

Brenda Langford nasce nel 1918 a Manchester, in Inghilterra. La sua vita rischia di interrompersi a soli sei mesi a causa dell’influenza spagnola, pandemia che nell’arco di due anni provoca la morte di decine di milioni di persone. Sia lei che la madre si ammalano, ma sopravvivono. Brenda cresce in un ambiente culturalmente stimolante. Inizia a frequentare la scuola a 9 anni, dopo la morte per tubercolosi del padre, critico musicale e pianista che fino a quel momento si era occupato della sua educazione, insegnandole tra l’altro a parlare fluentemente in tedesco. Ragazza curiosa ed eclettica, durante gli anni alla Withington Girls’ School di Manchester si appassiona all’arte e alla letteratura, ma dopo il diploma decide di iscriversi a una facoltà scientifica perché convinta che sia possibile studiare le materie umanistiche da autodidatta. Grazie a una borsa di studio, ha la possibilità di seguire i corsi di matematica del prestigioso Newnham College di Cambridge, ma in breve tempo si rende conto che quella non è la sua strada. Decide così di passare allo studio della psicologia, disciplina di cui non sa assolutamente nulla.

A indirizzare i suoi interessi è Oliver Zangwill, ricercatore presso il laboratorio del grande psicologo Frederic Bartlett e suo supervisore durante la stesura della tesi. Zangwill la introduce allo studio delle lesioni cerebrali per la comprensione del normale funzionamento del cervello. 

Laureatasi in psicologia nel 1939, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, la donna ha la possibilità di restare a Newnham per altri due anni, nel team guidato da Bartlett; durante la guerra lei e i suoi colleghi si occupano di individuare e selezionare, attraverso specifici test attitudinali, le persone più adatte a diventare piloti di caccia e di bombardieri.

In Canada

Nel 1941, la giovane psicologa incontra il suo futuro marito, Peter Milner. I due si sposano nel 1944 e lo stesso anno lasciano il Regno Unito per il Canada; Peter prende parte a una ricerca sull’energia atomica, mentre Brenda trova lavoro come docente nel dipartimento di psicologia dell’Università di Montreal. Nel 1949, dopo essersi specializzata in psicologia sperimentale, conosce Donald Hebb, professore alla McGill University. Hebb la accetta come studentessa di dottorato e le dà la possibilità di lavorare con Wilder Penfield, neurologo presso il Montreal Neurological Institute (MNI), centro in cui vengono studiati i pazienti epilettici.

Nel 1952, conseguito il dottorato con una tesi sugli effetti intellettivi ed emotivi dei danni al lobo temporale negli esseri umani, Brenda Milner avrebbe la possibilità di continuare a lavorare presso la McGill University, ma – pur essendo stata avvertita da Hebb sulle scarse possibilità di successo di una psicologa in un istituto neurologico – decide di continuare il suo lavoro con Penfield all’MNI. “Capii subito che questo era il tipo di lavoro che volevo fare, qualunque fossero le difficoltà pratiche”, dichiarerà in un’intervista. Poco tempo dopo viene contattata da William Scoville, un neurochirurgo di Hartford, nel Connecticut, che le chiede di studiare il caso di un paziente molto particolare: Henry Molaison.

Il caso Henry Molaison

Vittima di forti attacchi epilettici sin da bambino, il primo settembre 1953 – all’età di ventisette anni – Henry Molaison decide di sottoporsi a un intervento chirurgico sperimentale: l’asportazione di parte dei lobi temporali del cervello, tra cui l’amigdala e una vasta area dell’ippocampo. Dopo l’operazione, eseguita da Scoville, le convulsioni epilettiche si riducono notevolmente, ma l’uomo sviluppa una forma molto grave di amnesia anterograda, caratterizzata dall’incapacità di memorizzare nuove informazioni. Molaison riesce a ricordare solo ciò che gli è accaduto prima del settembre del 1953, tutto il resto è una pagina bianca. Morirà nel 2008, dopo oltre cinquant’anni vissuti nella più assoluta inconsapevolezza.

Colpita dalla complessità del caso, Brenda Milner vuole capire se l’impossibilità di memorizzare eventi e situazioni incida sulla capacità di Molaison di acquisire nuove abilità. Decide di sottoporre il paziente a una serie di test: gli chiede, per esempio, di tracciare i contorni di una stella mentre si guarda allo specchio. Scopre così che i risultati migliorano di giorno in giorno, nonostante Molaison non sia consapevole di aver imparato alcunché. Fino a quel momento era opinione diffusa che la memoria fosse una funzione globale dell’intero cervello. La ricerca di Milner dimostra che la realtà è molto più complessa: esistono delle aree specializzate, per esempio l’ippocampo, fondamentali per la costruzione della cosiddetta memoria episodica, grazie alla quale riusciamo a ricordare gli avvenimenti della nostra vita. La rimozione di gran parte dell’ippocampo aveva distrutto la capacità di Molaison di trattenere ricordi, ma in lui era ancora presente una forma di apprendimento implicito, legato a un altro tipo di memoria – chiamata memoria procedurale – rimasta intatta perché connessa ad altre aree del cervello.

Nel 1957, sul Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry esce “Loss of recent memory after bilateral hippocampal lesions”, in cui Milner e Scoville riassumono i risultati della ricerca. L’articolo diventerà una delle pubblicazioni più citate nella storia delle neuroscienze.

Una donna instancabile

Nel corso dei decenni successivi, Brenda Milner conduce importanti ricerche di neuropsicologia. Tra le altre cose, si occupa delle regioni cerebrali associate all’elaborazione del linguaggio e alla memoria spaziale e descrive dettagliatamente le differenze fra l’emisfero cerebrale destro e quello sinistro, mostrando le loro interazioni e chiarendo il modo in cui, in caso di lesioni, l’uno compensa le funzioni dell’altro. 

Membro della Royal Society e dell’Accademia nazionale delle Scienze, in quasi settant’anni di carriera ottiene oltre venti lauree honoris causa e riceve svariati riconoscimenti. Tra questi, ricordiamo il Ralph W. Gerard Prize in Neuroscience, conferitole nel 1987, e il Premio Balzan, assegnatole nel 2009.

Ancora oggi, a oltre sessant’anni dallo storico articolo su Henry Molaison, Brenda Milner continua a lavorare instancabilmente. Il 15 luglio del 2018, in occasione dei festeggiamenti per il suo centesimo compleanno, ha dichiarato di avere “tutta l’intenzione di continuare per molti altri compleanni”; parole che tutti noi dovremmo imprimere nella nostra memoria e ricordare ogniqualvolta ci sentiamo troppo vecchi per fare qualcosa.


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Immagine: Wikimedia Commons

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.