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Breve guida ai tamponi per la Covid-19

Molecolari, antigenici, rapidi o salivari: tutto quel che c’è da sapere sui tamponi per il coronavirus, che quest’inverno serviranno anche a distinguere la Covid-19 dai malanni di stagione

La scorsa primavera, durante la prima drammatica fase dell’epidemia in Italia, i tamponi per la diagnosi della COVID-19 erano riservati ai pazienti più gravi ricoverati in ospedale. In media si facevano circa 30 mila tamponi al giorno; oggi quella cifra è triplicata e si prevede che nei prossimi mesi sarà necessario incrementare ulteriormente la capacità diagnostica. L’esortazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – Test, test test! – che a metà marzo aveva messo tamponi e contact tracing al centro della strategia per arginare il contagio, resta più valida che mai. Con l’arrivo della stagione fredda, la capacità di individuare ogni caso sospetto in tempi rapidi (entro 24-48 ore) sarà essenziale per tenere sotto controllo i focolai e distinguere le infezioni da COVID-19 dalle sindromi influenzali.

Sebbene quest’anno le misure di contenimento della pandemia potrebbero limitare anche la diffusione dell’influenza, come è successo nell’emisfero australe, milioni di italiani si troveranno ugualmente a fare i conti con malanni di stagione dai sintomi molto simili a quelli della COVID-19. Senza sottoporsi a un tampone non c’è modo di sapere con certezza se la causa è un virus influenzale o il più pericoloso SARS-CoV-2. Incrementare i test sarà quindi cruciale per non paralizzare scuole e attività economiche, isolando prontamente le persone infette e, all’opposto, liberando dalla quarantena chi ha già superato l’infezione da coronavirus o ha contratto una comune influenza.

In questi mesi la ricerca scientifica non ha mai smesso di cercare soluzioni più rapide, economiche e affidabili. Quando parliamo di tamponi per la COVID-19, oggi in realtà parliamo di un ampio ventaglio di strumenti diagnostici, alcuni già validati, altri in attesa di approvazione, altri ancora in fase di sviluppo ma che già nei prossimi mesi potrebbero arrivare sul mercato rivoluzionando la diagnosi. In questo articolo cerchiamo perciò di fare chiarezza sulle diverse tipologie di tamponi, raccontando come funzionano, a cosa servono e quanto sono affidabili.

Tamponi molecolari

Il test standard per diagnosticare la COVID-19 è un tampone molecolare in grado di rilevare la presenza di materiale genetico del coronavirus SARS-CoV-2 nell’organismo umano. Il test si basa su un prelievo di muco dalla faringe effettuato con un lungo bastoncino, molto simile a un cotton fioc, che viene infilato in una narice (tampone naso-faringeo) o nella gola (tampone oro-faringeo). Si tratta di un’operazione semplice, che dura pochi secondi, fastidiosa ma indolore. Deve però essere eseguita da personale adeguatamente formato e attrezzato con dispositivi di protezione.

L’analisi del campione è affidata a un laboratorio specializzato dove, mediante una tecnica di biologia molecolare nota come PCR (o reazione a catena della polimerasi), l’RNA virale viene isolato e amplificato per scovare la presenza del coronavirus. L’analisi richiede alcune ore, perciò tra il prelievo e l’esito passa almeno un giorno, ma nella pratica, per limiti organizzativi, spesso occorre attendere più a lungo, anche diversi giorni.

Se l’esito è positivo, significa che c’è un infezione in corso e che il paziente è contagioso. Come anticipato, il tampone è infatti un test diagnostico e non deve essere confuso con il test sierologico, che invece rileva gli anticorpi e perciò può soltanto indicare se in passato il paziente è entrato in contatto con il coronavirus, senza poter stabilire se la persona è ancora infetta o meno, come abbiamo raccontato in un altro articolo di OggiScienza.

I tamponi molecolari sono piuttosto accurati ma, come ogni esame diagnostico, non sono infallibili e talvolta si rende necessario ripetere il test. Per esempio, può capitare che il tampone non sia riuscito a raccogliere materiale genetico virale e dunque che il test non rilevi la presenza del coronavirus nonostante il paziente mostri i sintomi della malattia, richiedendo un secondo tampone di controllo. Questo spiega anche perché per dichiarare guarito un paziente senza più sintomi servono due tamponi negativi ripetuti a distanza di 24 ore, eseguiti dopo almeno 14 giorni dall’insorgenza dei sintomi.

Più in generale, si parla di falso positivo quando il tampone evidenzia un’infezione che in realtà non è presente, e di falso negativo quando il test fallisce nell’individuare un’infezione in corso. Nel primo caso si rischia di creare un allarme inutile o di prolungare senza motivo la quarantena a chi non è più contagioso; nel secondo caso, di dare una falsa rassicurazione a chi invece è infetto e perciò dovrebbe essere curato e isolato per non diffondere l’epidemia. Un test diagnostico è tanto più affidabile quanto più sono elevate la specificità (che corrisponde a un basso numero di falsi positivi) e la sensibilità (basso numero di falsi negativi).

Tamponi antigenici (o rapidi)

Un’alternativa ai tamponi molecolari è offerta dai test antigenici, che non rilevano il genoma virale bensì la presenza di alcune proteine di superficie del coronavirus. Il termine fa riferimento agli antigeni, cioè le sostanze riconosciute dagli anticorpi umani come estranee al nostro organismo, come sono appunto le proteine virali che il tampone antigenico è in grado di individuare nelle secrezioni faringee sfruttando una reazione biochimica.

I test antigenici hanno il grande vantaggio di essere più rapidi ed economici. Il prelievo avviene sempre mediante un tampone faringeo e richiede la mano esperta di un operatore sanitario, ma non è necessario inviare i campioni a un laboratorio specializzato. Basta inserire il tampone in un apposito kit diagnostico per avere la risposta entro circa 15 minuti. Per questo motivi i test antigenici sono spesso chiamati anche tamponi rapidi. Il costo si aggira intorno ai 10 euro.

Lo svantaggio è che, rispetto ai tamponi molecolari, i test antigenici sono meno sensibili e talvolta non riescono a rilevare l’infezione anche se è presente, fornendo un maggior numero di falsi negativi. Un esito negativo può dunque richiedere la ripetizione del test e, nei casi più dubbi o critici (per esempio quando il paziente, pur risultando negativo, presenta i sintomi tipici della COVID-19), occorre effettuare la controprova con un tampone molecolare. Diverse aziende produttrici affermano tuttavia di avere raggiunto livelli sufficienti di sensibilità e specificità, e diversi test antigenici sperimentali sono in fase di validazione da parte delle autorità sanitarie europee.

Negli Stati Uniti quattro test antigenici hanno già ottenuto dalla Food and Drug Administration (FDA) l’autorizzazione all’uso in situazioni di emergenza, che non richiede di validare l’affidabilità dichiarata dalle aziende produttrici. La FDA raccomanda però di limitarne l’impiego solo ai pazienti che presentano sintomi della COVID-19, considerando troppo elevato il rischio di falsi negativi in persone asintomatiche ma potenzialmente contagiose. In Italia questi test rapidi sono già stati sperimentati negli aeroporti di Ciampino e Fiumicino, in Veneto e in alcune città italiane. I risultati sono apparsi incoraggianti (si è parlato di una sensibilità intorno all’85% purché l’analisi sia effettuata entro 30 minuti dal prelievo), ma devono ancora essere pubblicati e validati.

La ridotta sensibilità è comunque un limite relativo perché, grazie alla rapidità di esecuzione e al costo contenuto, i tamponi antigenici possono ugualmente diventare un efficace strumento di sorveglianza epidemiologica, consentendo di fare una prima scrematura nell’identificazione dei contagi, a cui far seguire un tampone molecolare di conferma nei casi dubbi o critici. La possibilità di effettuare screening periodici su segmenti di popolazione a rischio e di guadagnare tempo prezioso nel contact tracing potrebbe inoltre essere di grande aiuto per gestire l’epidemia nelle scuole o nei luoghi di lavoro, soprattutto durante la stagione invernale in cui le infezioni di COVID-19 tenderanno a confondersi con il raffreddore o l’influenza. La disponibilità di test antigenici rapidi permetterebbe infine di ridurre la pressione sui laboratori di analisi dei tamponi molecolari, che da mesi lavorano senza sosta. Ecco perché un gruppo di esperti italiani ha rivolto un appello al governo affinché adotti questi tamponi rapidi non appena sarà validata la loro affidabilità.

Vale infine la pena di sottolineare che al momento non sono in commercio test rapidi fai-da-te per diagnosticare la COVID-19. I tamponi molecolari o antigenici prevedono sempre che il prelievo e l’analisi dei risultati siano effettuati da personale specializzato. Negli Stati Uniti l’azienda di biotecnologie Cellex ha annunciato di avere sviluppato un test rapido per rilevare in modo autonomo l’infezione da coronavirus, sfruttando un apposito kit diagnostico e un’app di analisi dei risultati, che però non è ancora stato sottoposto al vaglio della FDA.

Tamponi salivari

I tamponi salivari sono ancora in fase di sviluppo e validazione, ma potrebbero costituire una svolta cruciale nella gestione della pandemia. Negli Stati Uniti la FDA ne ha già dato l’autorizzazione per l’impiego in situazioni di emergenza. Si tratta di test in grado di rilevare nella saliva la presenza del genoma virale e promettono perciò di essere altrettanto affidabili dei tamponi molecolari.

Sono però meno invasivi e fastidiosi di un tampone faringeo perché basta raccogliere un po’ di saliva in una provetta. Sono anche più sicuri per gli operatori sanitari perché il campione può essere raccolto in modo autonomo dal paziente. Questo evita anche distorsioni dei risultati che possono derivare dalle modalità con cui è effettuato il prelievo del campione faringeo. Il costo dovrebbe aggirarsi intorno a due dollari.

Nei prossimi mesi potrebbero essere infine sviluppati anche test salivari antigenici, che consentirebbero di eseguire test periodici su larga scala senza la necessità di impiegare personale specializzato. Anche in questo caso la sensibilità potrebbe essere inferiore ai test molecolari, generando un maggior numero di falsi negativi, ma un test salivare rapido ed economico potrebbe compensare questo limite diventando uno strumento diagnostico tanto facile da eseguire quanto l’atto di misurarsi la febbre: sarebbe un fondamentale passo avanti nella gestione della pandemia.

Fare il tampone: istruzioni pratiche

Il tampone è previsto per chi mostra sintomi tipici della COVID-19 (febbre, tosse, difficoltà respiratorie, raffreddore, mal di gola, spossatezza, alterazione del gusto o dell’olfatto, diarrea) e per chi rientra da un Paese a rischio (si veda l’elenco aggiornato sul sito del Ministero della Salute). Se si sospetta di avere contratto l’infezione bisogna telefonare al proprio medico curante. Spetta al medico avvisare l’azienda sanitaria, che stabilisce chi deve sottoporsi al test, fissando l’appuntamento per il prelievo. Il tampone sarà eseguito a domicilio o nelle apposite strutture drive through allestite in molte città, in cui si effettua il prelievo restando in automobile. Il tampone è gratuito perché il costo dell’esame è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale. In diverse Regioni è possibile rivolgersi anche a laboratori accreditati che offrono tamponi a pagamento, assicurando l’esito entro un paio di giorni: il prezzo è variabile ma si aggira intorno ai 100 euro.


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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).