Scienziate e Media: un “genere” di problema complesso
Invisibili, dimenticate dalla storia e vittime dell’effetto Matilda; specialmente in passato, la visibilità delle scienziate, è stata spesso il riflesso delle disparità presenti nel mondo scientifico.
Attualmente, qualcosa sta cambiando ma, se da un lato appare chiara l’importanza di far conoscere questo universo troppo a lungo ignorato, dall’altro il modo in cui le scienziate sono presentate nei media è sempre più motivo di dibattito. Insomma, “accendere i riflettori” sulle protagoniste del progresso scientifico è sufficiente o è arrivato il momento di interrogarci anche su come queste dovrebbero essere rappresentate?
Un problema lungo un secolo
Un duello con le pistole a 25 metri di distanza, un modo comune all’epoca, di risolvere le dispute d’onore. Non si può dire lo stesso per il motivo della disputa che, oggi, a distanza di più di 100 anni, sembra quanto mai attuale. Era la mattina del 25 novembre del 1911 quando Gustave Téry, giornalista ed editore del giornale L’Oeuvre si presentò al luogo fissato per il duello. Ad attenderlo, il fisico francese Paul Langevin deciso con quel gesto a salvare l’onore di una delle scienziate più famose della storia: Marie Curie.
Tutto era cominciato con la pubblicazione su L’Oeuvre di alcune lettere tratte dalla corrispondenza tra Langevin e la Curie da cui si intuiva che tra i due ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia. Lo scienziato, all’epoca, era infelicemente sposato, per questo le lettere avevano fatto scoppiare uno scandalo ed erano iniziate a circolare sui giornali frasi diffamatorie e notizie fasulle. La Curie era “la straniera distruttrice della famiglia francese” e, secondo alcune fake news Pierre Curie, morto per un incidente nel 1906, si era suicidato gettandosi sotto una carrozza dopo aver scoperto la relazione tra la moglie e il suo studente prediletto Paul Langevin. La mattina del duello, tutto terminò senza spargimenti di sangue, tanto che alcuni giornali definirono l’episodio una farsa. Tuttavia, mentre lo scandalo per il fisico francese rientrò abbastanza velocemente, per la Curie non fu lo stesso, costretta a trasferirsi da amici per evitare la folla di giornalisti che spaventavano le figlie, sempre a causa delle dicerie, fu invitata dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze a non presentarsi alla consegna del suo secondo Nobel. Marie, che in passato era già stata attaccata dalla stampa in quanto “Donna”, partecipò comunque alla premiazione, ma i rapporti con la stampa non furono mai più gli stessi.
La Beef-Stroganoff Illusion
Marie Curie certamente concorderebbe sul fatto che la visibilità è un terreno estremamente accidentato soprattutto se si è una scienziata. Se da un lato per scienziate, divulgatrici e giornaliste scientifiche non è sempre facile trovare spazio nell’arena mediatica, dall’altro, sempre più spesso, ci troviamo a fare i conti con un giornalismo che mostra chiaramente quanto sia ancora radicata nella nostra società una visione discriminatoria e riduttiva della donna. Certo, potremmo cullarci nella falsa suggestione che questo sia un problema confinato solo a un certo tipo di giornalismo, salvo poi ricordare quanto accaduto nel 2003 su una delle testate più prestigiose al mondo: il “New York Times”.
In occasione della morte di Yvonne Brill, il NYT scriveva: “Sapeva cucinare un ottimo arrosto alla Stroganoff, ha seguito il marito nelle sue trasferte lavorative e ha preso otto anni di pausa dal lavoro per crescere tre figli. «La migliore mamma del mondo», ha detto suo figlio Matthew.” Alle polemiche che seguirono la pubblicazione di questo articolo rispose la stessa editrice del giornale, Margaret Sullivan, twittando “Per i molti che mi hanno twittato riguardo al necrologio di Yvonne Brill, sono assolutamente d’accordo“. Il New York Times rimosse “L’arrosto dello scandalo” ma decise di non modificare gli altri passaggi discutibili presenti nell’articolo che, ancora oggi, è on-line. Quella rimozione, fu considerata da molti solo un modo sbrigativo di chiudere una polemica illudendo i lettori con quella che venne poi chiamata la “Beef-Stroganoff Illusion”.
Poca visibilità e vecchi cliché
Da allora quasi nulla è cambiato e, analizzando la visibilità delle professioniste durante l’emergenza innescata dal Covid-19, la situazione appare decisamente sconfortante. Secondo il Washington Post, le donne non solo sono “sistematicamente escluse” dalla narrazione della pandemia ma, nei rari casi in cui è stato chiesto il loro contributo, la visibilità mediatica diventa l’occasione per attacchi sessisti e molestie. Come sottolinea la dr.ssa Adriana Albini, docente di Patologia Generale e Direttore Scientifico “MultiMedica ONLUS”, anche in Italia, “Per la comunicazione degli aspetti medici e scientifici della pandemia, gli esperti invitati a discutere sono per la maggior parte uomini e capita ancora di vedere tavole rotonde tutte o quasi al maschile. Anche la task force ministeriale per il Covid-19 era interamente priva di esperte donne”.
Ovviamente, la poca visibilità data alle scienziate incide negativamente anche nella promozione della scienza tra nuove generazioni. “Per contribuire a dare visibilità alle competenze femminili”, spiega la Dr. Albini, “Nel 2016 abbiamo fondato con ONDA (Osservatorio della Salute Donna e di Genere) il Club delle TIWS, Top Women Italian Scientists, che raccoglie ricercatrici in campo biomedico, altamente citate nel mondo”. Infatti aggiunge, ”Tra le motivazioni della insufficiente presenza femminile nelle discipline STEM e nell’informatica vi sono stereotipi, condizionamenti sociali e familiari, mancanza di consapevolezza e scarsa comunicazione su cosa significhino queste discipline anche per una donna, a quali sbocchi conducano e come possano essere insegnate in modo creativo e poliedrico.”
In tema di educazione e formazione, l’editoria sembra fare dei passi avanti. Come spiega Monica Martinelli, Direttrice della casa editrice “Settenove”, “Diversità, inclusione e parità di genere sono concetti che iniziano ad avere un peso importante nelle pubblicazioni per l’infanzia. Soprattutto, il concetto di diversità legato all’etnia e a una diversa concezione dei ruoli di genere.” Tuttavia, precisa, “Tutto questo appare nella piccola editoria indipendente, soprattutto, ma difficilmente nella scolastica. L’editoria scolastica resta ancorata a vecchi cliché, e, nell’atto di smontarli, tendono a creare nuovi stereotipi. In questo senso, è stata recentemente depositata una proposta di legge alla Commissione Cultura della Camera che ha come obiettivo quello di adeguare i testi scolastici alle richieste delle varie convenzioni internazionali e provare a raggiungere gli standard del documento programmatico UNESCO per l’agenda 2030 che chiede la revisione dei libri di testo per promuovere l’uguaglianza di genere”.
Il recente caso del Nobel a Andrea Mia Ghez
Questa proposta di legge, al pari di altre iniziative, dimostra chiaramente la voglia di cambiamento presente nel mondo editoriale e giornalistico. Allo stesso tempo però è impossibile non notare il persistere di un certo tipo di giornalismo che non riuscendo a evolvere continua solo a tamponare senza risolvere il problema di sessismo nei media. Anche in occasione dei recenti Premi Nobel infatti, le polemiche riguardanti i vari “scivoli” giornalistici a proposito dell’astronoma Andrea Mia Ghez, sono state spente grazie a correzioni e rimozioni che, esattamente come accadde per la Brill, hanno dato l’illusione ai lettori di aver contribuito a un cambiamento e permesso ai media di non cambiare.
Secondo Marco Cattaneo, Direttore di Le Scienze, Mind e National Geographic, “Per liberare la società dagli stereotipi di genere, occorre che il giornalismo e la comunicazione in generale trovino una chiave di lettura nuova, che continui a raccontare disuguaglianze e discriminazioni ma, allo stesso tempo, ritragga le donne ai vertici di aziende e istituzioni non più come un’eccezione, ma come il normale corso di una società matura”.
Parlando poi del sessismo in ambito giornalistico aggiunge: “Bisogna sanzionare – dall’interno, nei giornali – comportamenti di bullismo disgustosi che portano a sdoganare una violenza verbale sulle donne che è ormai ben oltre i livelli di guardia. Penso a figure come Laura Boldrini, o Maria Elena Boschi, cui alcuni giornali hanno riservato trattamenti osceni. Ecco, questo è inammissibile, perché se la stampa si riduce alle battute sessiste, come pensiamo di liberarcene nella società? Io non so che cosa deve accadere perché certi titoli siano considerati inammissibili anche dentro il giornale stesso, forse anche spedire in pensione una generazione di machi da operetta, ma davvero, se non parte dall’informazione una rivoluzione culturale, come possiamo sperare che si affermi?”
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