È una donna, una mamma, ha degli interessi ed è una scienziata
Disclaimer: questo articolo non vuole discutere la validità, consistenza e necessità dell’assegnazione dei Premi Nobel. Meglio dirlo, non si sa mai
Questa settimana sono stati assegnati i premi Nobel per le discipline scientifiche e con grande gioia possiamo aggiungere tre donne alle poche che hanno vinto un premio Nobel dal 1901. Però ci sono un paio di cose da dire, perché è sotto gli occhi di tutti che c’è ancora un problema nel raccontare le donne che fanno scienza. Andiamo con ordine.
Martedì 6 ottobre: il Nobel per la fisica
Il Nobel per la fisica quest’anno è andato a Roger Penrose per i suoi studi (e di Stephen Hawking) sui buchi neri come conseguenza della teoria della relatività e alla coppia Reinahard Genzel e Andrea Ghez per l’osservazione di un oggetto supermassiccio compatto – i.e. un enorme buco nero – al centro della nostra galassia.
La notizia eccezionale, per parafrasare Lucio Dalla, è la vittoria di Andrea Ghez, che risulta essere la quarta donna a vincere il premio Nobel per la fisica. La quarta, dal 1901. Insieme alle congratulazioni che comincio a leggere online, vedo la celebrazione di Ghez che entra nell’Empireo delle scienziate che ce l’hanno fatta, che hanno ottenuto il meritato riconoscimento dalla comunità scientifica. Certamente non potevano mancare i ricordi dei tanti Nobel negati alle donne. Inizio a chiedermi se nell’immaginario comune la vittoria del Nobel è il solo coronamento di una carriera. Poi, cominciano a circolare articoli definibili, senza troppi giri di parole, discutibili.
Non pensavo nemmeno potesse essere possibile leggere un’agenzia stampa che, riferendosi ad Andrea Ghez, parlasse di lei al maschile. Mi sono immaginata il giornalista o la giornalista formulare un chiaro esempio di sillogismo aristotelico: Andrea è un nome comunemente maschile; i Nobel li vincono per lo più gli uomini; quindi è stato un uomo a vincere il Nobel. Senza nemmeno curarsi di leggere un comunicato, un’altra news o ancora più banalmente googlare il suo nome e cognome. Ammetto, ho saputo della “svista” solo dopo che la notizia era già stata corretta ma l’amarezza è stata tantissima lo stesso e il senso di dispiacere per questo esempio di cattivo giornalismo ha preso il sopravvento. Perché l’errore che ha portato alla “svista” è figlio di una concezione del mondo della scienza che non considera le scienziate capaci di ottenere un riconoscimento importante come il Nobel al pari dei loro colleghi.
Mentre nella mia testa si arrovellavano domande su domande, ecco arrivare un secondo colpo. Andrea Ghez, «la mamma nuotatrice» che vince il premio Nobel. Di nuovo si è sentita la necessità di raccontare la vita privata di una donna professionista per accentuare il suo successo. Pensiamo un momento a quante volte abbiamo letto di “Mario Rossi, padre di famiglia e giardiniere per passione” che vince il premio Nobel. Oserei dire mai. Allora mi chiedo perché nel raccontare le donne si sente il bisogno di mettere in risalto caratteristiche che per gli uomini non vengono prese in considerazione. Cattivo giornalismo e sessismo, che doppietta!
Mercoledì 7 ottobre: il Nobel per la chimica
Era quasi mezzogiorno e quando sullo schermo del computer è apparsa la slide blu con i volti di due scienziate ho tremato dalla gioia. Per un momento non avevo nemmeno realizzato chi fossero o per cosa avessero vinto il Nobel, pensavo solo alla portata storica gigantesca dell’evento a cui stavo assistendo.
Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna hanno vinto il premio Nobel per la chimica per lo “sviluppo di un metodo per la scrittura del genoma”, il sistema di editing CRISPR/Cas9. Qui l’eccezionalità della notizia è doppia: sono due donne a vincere il Nobel e sono le uniche due donne a vincere da sole. In parole povere, non era mai successo che il Nobel venisse assegnato a solo due ricercatrici, c’era sempre un collega nella doppietta o tripletta. Mi ripeto, questo è un evento per la storia della scienza di massima importanza, pari all’assegnazione del premio a Marie Curie nel 1903. Perché con la vittoria di Charpentier e Doudna è andato in frantumi un altro pezzo del soffitto di cristallo che ingabbia le donne da secoli.
La gioia era incalcolabile ma i timori di leggere ancora dettagli inutili come la passione per la pasticceria che avvalorassero la straordinarietà della notizia erano lì dietro l’angolo. Poco dopo l’annuncio, ecco balzarmi all’occhio titoli poco seri e sminuenti come «le donne del taglia-incolla del DNA». Ora che sono passate già molte ore dall’annuncio, non ho letto di «madri e nuotatrici» oppure di «scienziate senza figli e stacanoviste», e questo è già qualcosa. Notare e far notare l’inutilità e la sconvenienza di un certo modo di raccontare le donne può portare solamente alla presa di coscienza che il sessismo è un problema che si manifesta anche in un titolo all’apparenza innocuo come «le donne del taglia-incolla del DNA». Aspettandosi l’inciampo giornalistico, le lettrici e i lettori sono sempre più consapevoli che il cattivo giornalismo, quando si tratta di donne, ammicca volente o nolente al sessismo.
Credo che la soluzione a questi problemi non sia né facile né immediata. Con un’educazione che metta al centro l’inclusione e il femminismo ci vorrà molto, moltissimo tempo perché svanisca ogni traccia di sessismo nella società e nel nostro caso dal modo di raccontare le donne che fanno scienza. Perché l’esclusione a priori delle figure femminili dall’idea di “quell* che vincono il Nobel” o lodare una professionista perché mamma e appassionata di nuoto non riesco a non definirlo sessismo. E questo non accade di certo solo con i Nobel.
Parole d’ordine: responsabilità e ispirazione
Intervistate durante le rispettive conferenza stampa, Andrea Ghez e Emmanuelle Charpentier hanno riconosciuto il valore del premio non tanto da un punto di vista scientifico quanto per il ruolo d’ispiratrici che hanno nei confronti delle giovani ragazze che vogliono intraprendere una carriera scientifica. Siamo tutte e tutti consapevoli che le donne oggi fanno parte della scienza e che insieme a molti colleghi si stanno impegnando sempre più per ottenere il giusto riconoscimento del loro lavoro. L’assegnazione di questi Nobel 2020 fa sperare in un serio cambio di rotta da parte di un’istituzione importante come quella dei premi Nobel. Il mio augurio è che si continui così e che con l’educazione all’inclusività e la comprensione e interiorizzazione del pensiero femminista non si debbano più sottolineare tratti inutili per celebrare il lavoro di una donna che fa scienza.
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