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Linci, orsi, lupi: il ritorno dei grandi carnivori in Europa

I cambiamenti nell’uso del territorio e la diminuzione della densità di popolazione umana hanno contribuito alla ricolonizzazione di linci, lupi e orsi in molte aree. Ma c'entra anche l'aumento della "tolleranza" da parte degli umani.

C’erano una volta i grandi carnivori in Europa; poi, almeno per un po’, hanno rischiato di non esserci più. E oggi, di nuovo, animali come lupi, linci e orsi hanno ricominciato a diffondersi, tornando nei luoghi che avevano abitato un tempo. Sono diversi i fattori che possono aver contribuito alla ricolonizzazione da parte dei grandi carnivori, e vanno dall’abbandono delle aree montane e delle campagne a favore dei centri urbani alle leggi per la tutela delle specie. Ma il peso relativo di ciascuno di questi elementi è rimasto poco chiaro.

Ora, un articolo appena pubblicato su Diversity and Distributions ha stimato quanto ciascuno di essi abbia giocato nel ritorno dei grandi carnivori. Se da una parte lo studio conferma il ruolo importante di fattori quali i cambiamenti nell’uso del territorio e la diminuita densità umana nelle aree naturali, dall’altra suggerisce che vi siano anche altri elementi che potrebbero avere un ruolo chiave.

Storie di ritorni

Negli ultimi secoli, e soprattutto tra l’Ottocento e la metà del Novecento le popolazioni di grandi carnivori europei hanno subito un declino spaventoso: la perdita e la frammentazione dell’habitat è stata accompagnata dalla caccia, che ne ha portato all’estinzione locale in molte aree. In Italia, per esempio, negli anni ’70 vivevano solo pochi esemplari di lupo, confinati negli Appennini del centro-sud del Paese. Oggi, invece, la popolazione è aumentata e si è espansa, tornando anche sulle Alpi. Anche le popolazioni di linci e orsi hanno cominciato a riprendersi, sostenute anche da programmi di reintroduzione delle specie.

In generale, sappiamo che lupi, orsi e linci eurasiatiche (le specie tenute in considerazione dallo studio; tra i grandi carnivori europei vanno poi annoverati il ghiottone e la lince pardina, che vive però solo in piccole aree della penisola iberica) hanno potuto tornare a popolare gran parte dell’areale storico, con l’eccezione delle isole. E anche se i pattern di ricolonizzazione non sono stati uguali per tutte le specie (per esempio perché per alcune il ritorno è stato sostenuto anche da programmi di reintroduzione, come nel caso dell’orso e della lince), a contribuire sono stati alcuni fattori comuni.

«Tra quelli più evidenziati nella letteratura scientifica vi sono la , l’aumento della copertura forestale del territorio, la diminuzione della persecuzione di questi animali e la legislazione per la loro protezione», spiega a OggiScienza Luca Santini, ecologo dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del CNR e senior author dello studio, la cui prima autrice è Marta Cimatti dell’Università La Sapienza di Roma.

Ma, finora, è rimasto poco chiaro quanto e come pesasse ciascuno. «Con il nostro studio abbiamo cercato di valutarne alcuni, in particolare la densità di popolazione umana e i cambiamenti d’uso del territorio, mettendoli in relazione con la distribuzione delle diverse specie negli ultimi 25 anni (in particolare, la fascia temporale considerata va dal 1992 al 2015)», spiega il ricercatore.

Poca gente, tanti boschi. E non solo

I risultati di questo lavoro supportano il ruolo del cambiamento dell’uso del territorio e la diminuzione della densità di popolazione umana con la distribuzione delle specie. In altre parole, le popolazioni di linci, lupi e orsi sono tornate soprattutto laddove l’ambiente naturale è stato abbandonato a favore delle aree urbane e le foreste hanno potuto ricrescere. Nessuna sorpresa, quindi? Non proprio, perché in effetti l’analisi mostra anche delle apparenti incongruenze: questi animali, infatti, hanno ripopolato anche aree in cui l’habitat non è ottimale, come alcune zone di Alpi, Pirenei e Balcani Settentrionali dove la copertura forestale è diminuita nell’arco di tempo considerato.

«Per spiegare questa differenza tra l’atteso e l’osservato, abbiamo ipotizzato che nella ricolonizzazione dei grandi carnivori entrino in gioco anche fattori che non abbiamo potuto testare. Per esempio, sebbene la preservazione di aree naturali è senz’altro importante per molte specie, nel caso dei grandi carnivori potrebbe di gran lunga più importante… che non gli si spari! È probabile, cioè, che la tolleranza da parte degli esseri umani abbia un ruolo centrale nel permettere il ritorno di questi animali», spiega Santini. «In più, questo ritorno anche in aree non ottimali suggerisce anche una certa adattabilità delle specie».

Un altro elemento interessante che emerge dallo studio è il ruolo relativamente limitato delle aree protette, che non sembrano essere uno dei fattori coinvolti nella ripresa di lupi, linci e orsi. «Questo è un elemento che era già stato osservato in altre ricerche, anche se c’è dibattito in letteratura. Può essere spiegato dal fatto che questi carnivori vivono naturalmente ad una densità di popolazione estremamente bassa (si parla di circa un individuo ogni 100 chilometri), per cui la maggior parte delle aree protette in Europa non include neanche l’area frequentata da singoli individui. È quindi probabile che le aree protette svolgano un ruolo marginale nella presenza di queste specie: è l’intero territorio che va gestito in maniera congrua alla loro sopravvivenza».

In generale, comunque, il lavoro appena pubblicato fornisce alcuni elementi importanti per capire dove dovremmo puntare per la tutela di questi animali e su cui basare i progetti di conservazione e rewilding. E non solo per quanto riguarda i fattori direttamente osservati, quindi basandosi sulle aree coperte da boschi e in cui è scarsa la densità umana, ma anche per quelli che saranno da approfondire in futuro, come l’importanza del ridotto conflitto con la nostra specie. Un conflitto, com’è noto, ben presente anche in Italia (OggiScienza ne ha parlato per esempio qui). «E, per una convivenza pacifica, è fondamentale una corretta e diffusa educazione ambientale, che permetta a tutti di conoscere gli animali che popolano il territorio per capire come conviverci», conclude Santini.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografie per gentile concessione di Miha Krofel, tutti i diritti riservati

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.