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#EndClimateSilence, il cambiamento climatico è nelle nostre storie

Secondo la scienziata Genevieve Guenther, fondatrice di End Climate Silence, la comunicazione deve prendere forma narrativa. Per convogliare le conseguenze del cambiamento climatico sulle prossime generazioni.

#EndClimateSilence è un hashtag che ognuno di noi potrebbe utilizzare per segnalare sui social i molti articoli di cronaca dove vengono descritti eventi meteorologici estremi senza che, tuttavia, venga sottolineato il legame con il cambiamento climatico. Potrebbe sembrare quasi un’ingerenza non richiesta proporre ai giornalisti, soprattutto a chi si occupa di cronaca, di cambiare il modo con cui i fatti vengono raccontati. Eppure questo è l’obiettivo che da un decennio a questa parte sta perseguendo Genevieve Guenther, per anni ricercatrice nel campo degli studi rinascimentali all’Università di Berkeley, poi docente alla New School di New York e fondatrice dell’associazione End Climate Silence: è necessario che la narrazione del cambiamento climatico sui mezzi di informazione diventi un discorso ricorrente e non un tema di esclusiva pertinenza della scienza.

In un suo recente saggio dal titolo Communicating the climate emergency: imagination, emotion, action (Comunicare l’emergenza climatica: immaginazione, emozione, azione) la ricercatrice e attivista americana mette in luce come da tempo non sia più sufficiente per gli scienziati parlare di dati e trasmettere conoscenze; è necessario che la comunicazione sul cambiamento climatico si sviluppi in forma narrativa. È necessario, prima di tutto, raccontare la verità, prospettando al lettore (o allo spettatore) come il cambiamento climatico metta a rischio la vita dei propri figli e delle future generazioni.

In passato questo approccio era considerato controproducente perché si pensava che la paura paralizzasse qualsiasi tipo di reazione. Come sostiene la studiosa, “le persone devono prendere coscienza, immaginare la possibilità che la propria vita e quella dei propri cari possa essere messa in grave pericolo dalle conseguenze del cambiamento climatico prima che l’emergenza climatica planetaria possa un giorno riguardarle realmente da vicino”. Guenther prende in esame alcuni esempi di eventi terribili che accadrebbero qualora la temperatura globale aumentasse di 2° C. “Tra i 32 e gli 80 milioni di persone vedranno le proprie case sommerse a causa dell’innalzamento del livello dei mari; oltre 400 milioni di persone non avranno acqua potabile a sufficienza”.

Questi sono alcuni degli esempi che permettono alle persone di immaginare quali potrebbero essere le implicazioni per la propria vita quotidiana. “Raccontare storie come queste, piccole narrazioni, spesso locali, trasmesse con immagini sorprendenti serve a rendere il problema del cambiamento climatico più tangibile. Questa paura, tuttavia, deve essere poi controbilanciata proponendo quei comportamenti che collettivamente possono prevenire l’irrimediabile e, soprattutto, azioni politiche che porteranno a un cambiamento del sistema. Il tutto riconoscendo il fatto che intraprendere queste azioni richiede grande coraggio e un enorme impegno emotivo per confrontarsi con il cambiamento climatico”.

OggiScienza ha intevistato la fondatrice di End Climate Silence, che tra i suoi attivisti conta anche Peter Kalmus, scienziato che si occupa di clima Jet Propulsion Lab della NASA e autore del libro Being the Change: Live Well and Spark a Climate Revolution.


Perché si propone di dare indicazioni ai giornalisti su come comunicare il cambiamento climatico? Pensa che stiano sbagliando o abbiano paura di parlarne?

Negli Stati Uniti il tema del cambiamento climatico è molto politicizzato e questo significa che sì, i giornalisti hanno paura. Nel riportare i fatti per quello che sono, temono di poter venire accusati di “essere di sinistra” e vi è la paura di perdere inserzionisti, dal momento che molte aziende dell’industria estrattiva fossile investono in pubblicità sulle reti televisive.

Durante l’era Trump è passata l’idea che l’informazione per essere obiettiva non deve necessariamente riportare i fatti bensì mostrare che cosa entrambe le parti politiche dicono di un particolare tema, senza che il giornalista possa commentare. In sostanza, questo è un modo per far morire l’obiettività del giornalismo. L’imperativo della nostra associazione End Climate Silence è fare pressione perché questo atteggiamento cambi.

In America la destra ha politicizzato il cambiamento climatico allo stesso modo in cui ha politicizzato la pandemia asserendo che “Covid-19 non è un pericolo reale”, “quelli di sinistra esagerano la sua pericolosità nel tentativo di guadagnare consensi e potere”, “le persone non dovrebbero prendere seriamente questo pericolo” e, di conseguenza, non è necessario indossare la mascherina e attuare le altre misure di protezione. La destra ha voluto distruggere la fiducia nelle istituzioni politiche e sanitarie pubbliche. Lo stesso “copione” viene utilizzato per il cambiamento climatico a partire almeno dagli anni Novanta.

L’amministrazione Trump ha lasciato l’Accordo di Parigi. Ora Joe Biden, come ha promesso, sta cercando di rientrare nella Cop21. Crede che questo sia in grado di far comprendere alle persone che cosa rappresenta quel trattato?

No, non credo proprio. Credo che le persone considerino il fatto di firmare questo trattato come sufficiente ad abbassare le emissioni di anidride carbonica. Non credo che negli Stati Uniti la popolazione comprenda chiaramente che il Paris Agreement è solo il primo passo e che le nazioni che l’hanno sottoscritto non hanno messo in campo delle politiche per attuare quanto hanno promesso.

Qual è il ruolo della comunicazione in questa situazione?

La gran parte delle persone cresce nella pressoché totale ignoranza del problema perché nelle scuole non si parla di cambiamento climatico. Ne sentiamo parlare dai media che non sono in grado di migliorare la situazione perché nel discorso politico-istituzionale trasmesso alla popolazione, di fatto, non si nega esplicitamente il cambiamento climatico, lo si nega semplicemente non parlandone, non informando le persone di quello che sta realmente accadendo.

Questo atteggiamento potrebbe dimostrare che, paradossalmente, il problema invece esiste, non crede?

Sì, infatti, credo che questa strategia stia cambiando. Ora i negazionisti ammettono che il cambiamento climatico esiste e che l’attività umana potrebbe avere una relazione con esso, ma questo non sarebbe in realtà un grosso problema perché l’importante è far crescere l’economia: più saremo in grado di far crescere l’economia attraverso l’uso dei combustibili fossili, più diventeremo resilienti e affronteremo i problemi del cambiamento climatico. In sostanza, si continua a parlare del problema nei termini che “noi non possiamo fare nulla per cambiare”. Si previene così qualsiasi azione verso la decarbonizazzione dell’economia, è un modo per rallentare il più possibile l’eventuale discussione e approvazione a livello politico di qualsiasi strategia volta verso energie più sicure.

Lei non crede che le persone siano comunque consapevoli di questo problema? Come dovrebbero parlare i giornalisti per essere più incisivi?

End Climate Silence ha commissionato dei sondaggi all’istituto di ricerca Lake Research Partners che stanno mostrando come gli americani vogliano sentire parlare delle connessioni tra eventi meteo estremi e cambiamento climatico, sono argomenti di cui le persone vogliono essere informate e davanti alle quali non spengono la tv. Queste ricerche, peraltro, hanno stimolato la Yale University a condurre ulteriori studi.

Credo che per i giornalisti sia importante smettere di pensare al cambiamento climatico nei termini di un racconto legato alla scienza o all’ambiente ma, invece, come di un elemento della storia che probabilmente stanno già raccontando. Quando parlo di eventi metereologici estremi, immigrazione, migrazioni forzate, energia, ripresa economica dalla pandemia: ogni singola storia legata a questi temi è, allo stesso tempo, una storia sugli effetti del cambiamento climatico o di pratiche umane che influiscono sul cambiamento climatico. Per i giornalisti è importante far comprendere come tutte le news siano connesse al cambiamento climatico, questo è il loro ruolo fondamentale.

Ma a livello politico cosa cambierebbe in questo modo?

Se la narrazione sul cambiamento climatico entra nelle nostre case con le news, se ne parliamo nelle nostre conversazioni, tra i familiari, gli amici, i conoscenti, i colleghi di lavoro, il problema diventa argomento comune di conversazione perché se ne riconosce l’esistenza. Si può discutere delle nostre paure ed emozioni, di come vorremmo che fosse la nostra vita, come vorremmo viverla, come vorremmo che vivessero i nostri figli. Questo credo sia importante per i giornalisti: far rientrare il cambiamento climatico nella narrazione delle loro storie.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nel fare questo tipo di lavoro?

Il mio lavoro è capire come le storie di tutti i giorni arrivino a modificare il modo in cui normalmente le persone parlano del cambiamento climatico. Il linguaggio che usano in negazionisti è, purtroppo, lo stesso che usano coloro che supportano la causa del cambiamento climatico. Ad esempio, la parola “resilienza” è molto popolare nei movimenti che supportano la causa del cambiamento climatico, ma questa parola, che deriva dalle scienze biologiche e indica la capacità di sopportare gli stress e la capacità di riprendersi dopo una crisi, è intesa come la capacità di rientrare in un proprio equilibrio dopo aver attraversato una fase molto difficile.

Questo sminuisce quanto il cambiamento climatico stia trasformando la nostra esistenza, quanto sia distruttivo del sistema sul quale noi poggiamo, suggerisce che l’obiettivo delle politiche sul clima sarebbe tornare a quello che già eravamo: “se tu sei resiliente devi tornare alla tua situazione di partenza”. Tuttavia, non dobbiamo fare questo perché abbiamo bisogno di rivedere il nostro sistema politico, la distribuzione del potere, il modo in cui produciamo e distribuiamo energia per creare qualcosa di nuovo. Abbiamo bisogno di adattarci. Adattamento è una parola molto più efficace, che rende questa trasformazione il più positiva possibile. Resilienza è qualcosa che, in un certo senso, vuole riprendere gli argomenti del negazionismo climatico per dire che dovremmo tornare alla situazione di base, cioè quella attuale.

Che cosa dovrebbe accadere perché i giornalisti cambino il modo di narrare questo tema?

La scienza ci mostra il ruolo del cambiamento climatico nei disastri a cui sempre più spesso assistiamo. Credo che lo sforzo da fare in questo momento da parte dei media più importanti è iniziare a linkare questi maggiori disastri con il cambiamento climatico. End Climate Silence lavora molto con i media a cui suggerisce materiali e modi diversi di comunicare questo tema che, a mio avviso, i giornalisti non conoscano abbastanza bene, come invece dovrebbero. Spesso per loro non è chiaro il legame tra climate change e vita di tutti i giorni e si rischiano errori di comunicazione.

Perché il cambiamento climatico richiede, come ha detto in una suo articolo su Scientific American, di ripensare il nostro essere umani?

Il cambiamento climatico ci mostra che l’illusione nata nel Rinascimento con Pico della Mirandola che vede l’uomo al centro di tutto è un errore. E l’abbiamo commesso per centinaia di anni. Quello che ci rende davvero differenti è la nostra ragione, la nostra abilità di costruire nuove tecnologie. La presunta capacità di controllare la natura ci ha mostrato come l’uomo sia in realtà un elemento come tanti altri all’interno del nostro ecosistema. Il cambiamento climatico dimostra come ciò che pensavamo dovesse controllare il mondo lo stia invece distruggendo.

Non c’è una natura al di fuori di noi, noi siamo parte della natura e non trascendiamo da essa, almeno non nel corso della nostra vita, non siamo qualcosa di esterno alla natura. Il cambiamento climatico ci sta mostrando che questa impostazione è sbagliata, è sintomo di una malattia nel nostro rapporto con l’ambiente. Ma, ironicamente, noi abbiamo la possibilità di scegliere perché abbiamo le capacità intellettuali di cambiare radicalmente e in pochissimo tempo questo sistema, le nostre conoscenze ce lo permettono. È assolutamente necessario fare pressione sulla politica perché questa transizione, che è possibile, non sia ostacolata, come già sta avvenendo, dalle forze politiche negazioniste, dai soldi e dal potere.


Leggi anche: Storie di clima. Testimonianze dal mondo sugli impatti dei cambiamenti climatici

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: End Climate Silence

 

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.