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Il mio gatto caccia molti animali selvatici: cosa fare?

La predazione da parte del gatto può avere un impatto importante sulla biodiversità di alcune specie selvatiche. Un nuovo studio mostra come alcune strategie gestionali aiutino a ridurla.

Pur con le dovute differenze inter-individuali, è noto che i gatti sono in genere efficienti predatori: può essere esperienza di molti, tra coloro che lasciano uscire il proprio gatto a farsi un giretto, il ritorno con una piccola preda, magari un uccello o un roditore. Ma proprio questo forte istinto alla predazione è un rischio per la fauna selvatica. Per mitigarlo, sono state proposte alcune strategie, come collari colorati, campanelle o altri strumenti che aiutino ad “avvertire” le prede della presenza del gatto. Questi strumenti presentano però alcuni limiti. Ora, un nuovo studio cambia l’approccio, suggerendo come misure gestionali legate alla dieta e al tempo speso a giocare con il proprio gatto possano essere una strategia per limitarne la predazione.

Abili cacciatori

Come OggiScienza ha raccontato qualche tempo fa, il gatto domestico conserva molti dei tratti del parente selvatico, compreso un forte istinto alla predazione. «D’altra parte, l’inizio del rapporto con la nostra specie si è basato proprio sull’abilità predatoria del gatto, che permetteva di tenere i roditori o altri piccoli mammiferi lontani dai granai o dai luoghi in cui si conservavano le derrate alimentari», ci spiega Alberto Perini, veterinario comportamentalista. «E anche se il gatto è diventato nel tempo un animale sempre più da compagnia che da servizio, è rimasto un cacciatore efficiente».

Tale caratteristica ha portato molti esperti di conservazione a preoccuparsi degli effetti che la predazione dei gatti può avere sulle specie selvatiche. Anche se è bene ricordare che per molti animali la conservazione è messa a rischio da diversi elementi, a partire dalla frammentazione e perdita di qualità dell’habitat, l’impatto legato a questi felini sembra non essere da poco. Per esempio, uno studio pubblicato nel 2013 su Nature Communication stima che i gatti domestici (soprattutto randagi) possano, ogni anno, uccidere dagli 1,3 ai 4 miliardi di uccelli e dai 6,3 ai 22,3 miliardi di piccoli mammiferi. Anche al di là dell’impatto diretto, con l’uccisione degli animali, la predazione può avere effetti indiretti sulle specie, portando per esempio a ridurre gli sforzi degli uccelli per nutrire i pulcini, a causa dell’aumentata vigilanza sul nido, con conseguenze che vanno complessivamente a danno del successo riproduttivo.

Allo scopo di mitigare il problema, particolarmente grave nelle isole e per le specie a rischio d’estinzione, sono stati nel tempo messi a punto alcuni strumenti che contribuiscono a limitare l’efficacia della predazione. Tra questi, grandi collari colorati, campanelle e strumenti elettronici da attaccare al collare, che dovrebbero ridurre l’efficienza degli agguati e mettere le prede nella condizione di avvertire l’approssimarsi del gatto. L’efficacia di questi strumenti non è del tutto chiara. Nel caso delle campanelle, per esempio, alcuni studi hanno registrato una minor percentuale di prede, mentre per esempio un recente lavoro condotto in Italia non ha osservato effetti sul tasso di predazione. Inoltre, il gatto può essere infastidito da collari e campanelline e cercare di togliersele, oppure perderle.

Due strategie alternative

In generale nessuna di queste strategie mira a diminuire il desiderio, o l’istinto, del gatto a cacciare. Che è, invece, lo scopo della ricerca recentemente pubblicata su Current Biology: il lavoro sceglie infatti un approccio diverso, basato su strategie gestionali, per ridurre la predazione. In particolare, i ricercatori hanno valutato l’effetto un dispenser in cui il gatto deve impegnarsi per raggiungere il cibo (“puzzle” feeder), di un’alimentazione in cui la carne fosse la principale fonte di proteine e di 5-10 minuti di gioco quotidiani con il proprietario. I diversi metodi sono stati testati in Gran Bretagna su 355 gatti di casa in un trial di 12 settimane.

E sono le ultime due strategie ad aver mostrato un effetto di riduzione della predazione: i gatti alimentati con cibi ricchi di proteine della carne hanno diminuito del 36 per cento le prede riportate a casa; quelli che ogni giorno giocavano con il proprietario per un periodo compreso tra i 5 e i 10 minuti del 25 per cento. L’impiego dei “puzzle” feeders, invece, ha semmai portato un incremento della predazione; i ricercatori ipotizzano che questo possa dipendere dal fatto che la difficoltà a raggiungere il cibo, o la novità dello strumento per il gatto, porti lo porta a essere più affamato o frustrato.

Per quanto riguarda l’efficacia delle altre strategie, «Alcuni alimenti per gatti contengono proteine di origine vegetale come la soia, ed è possibile che, pur rappresentando una dieta completa, determino l’insufficienza di alcuni micronutrienti, per cui il gatto è più stimolato a cacciare», spiega in un comunicato Martina Cecchetti, dottoranda dell’Università di Exeter e prima autrice dello studio. Il gioco, basato su oggetti che i proprietari facevano muovere e che il gatto poteva inseguire e bloccare, è invece un modo per riprodurre comportamenti naturali in un ambiente domestico e, come scrivono gli autori, porta a comportamenti simili a quelli che si osservano nella caccia.

In generale, questi risultati mostrano che i proprietari possono avere un certo peso nel limitare la predazione del gatto sulle specie selvatiche, anche senza misure “strutturali” come collari o campanelle. Tuttavia, osservano gli stessi autori alla fine dell’articolo, l’impatto della predazione varia a seconda del contesto ecologico: in aree dove i gatti vivono ad alta densità, corrispondenti alle aree residenziali umane, anche una predazione ridotta può comunque avere effetti importanti; così come può non essere sufficiente a preservare specie già a rischio di estinzione.

Il benessere del gatto, anche in casa

I ricercatori si sono concentrati su strategie non restrittive, così che i proprietari possano essere più propensi ad adottarle. Ma, come spiega Robbie McDonald, co-autore dell’articolo, «Tenere i gatti in casa è l’unico sistema sicuro per prevenire la predazione, sebbene alcuni proprietari siano preoccupati dalle implicazioni per il benessere del gatto che può avere l’impedirgli di uscire».

«È ovvio che di per sé il confinamento in casa crea una limitazione di quello che è il repertorio comportamentale del gatto, che se lasciato libero può coprire un vasto territorio potenziale. Ma questo è un problema? Dipende», ci spiega Perini. «E dipende da molti fattori. La razza, per esempio, può influenzare la necessità di movimento del gatto, così come la personalità ha un ruolo importante nel definirne le necessità e le preferenze. Ma, soprattutto, il benessere del gatto in casa dipende dalle alternative che gli offriamo. Diventando domestico, il gatto è uscito dagli equilibri naturali dell’ecosistema, dove è sia predatore che preda, perché trova più facilmente cure e cibo; lasciarlo uscire non significa assicurargli il benessere ma, semmai, rischiare di creare uno squilibrio nell’ecosistema che ci circonda. È quindi importante trovare, nel vivere insieme, un altro equilibrio».

E farli stare bene in casa dipende in buona parte da noi. I gatti non sono noti per essere animali particolarmente cooperativi, ma ciò non significa che non possano e non abbiano bisogno d’interagire con noi. Non solo, come avevamo raccontato, è possibile addestrarli (anche, per esempio, insegnando loro a copiare le nostre azioni), ma in generale è importante interagire con loro per garantirgli un arricchimento cognitivo e relazionale. «Per farlo, dobbiamo seguire le indicazioni che il gatto stesso ci dà, cercando di capire cosa preferisce e inquadrando i momenti in cui è più disposto a interagire», continua il veterinario. «Per esempio, sappiamo che come molti predatori il gatto è più attivo nei momenti in cui la luce è scarsa, al crepuscolo o di primo mattino, e proprio questi possono essere i momenti migliori per giocare in modo soddisfacente»

Giocare… come? Anche questo, spiega il veterinario, ce lo dice il gatto stesso: alcuni proprietari si stupiscono che, nonostante i giochi elaborati, il loro gatto continui a preferire la pallina di stagnola o il tappo della bottiglia. Ma lo stimolo dev’essere su misura dell’individuo e l’esperienza di gioco dev’essere completa, non un inizio troncato che non permette al gatto di scaricarsi e lo lascia frustrato. «Può essere interessante anche stimolare la ricerca olfattiva, creando dei percorsi con cibo in parte nascosto. E dobbiamo ricordarci di considerare l’ambiente non solo nelle dimensioni di larghezza e lunghezza ma anche nella sua altezza: infatti il gatto è un animale arrampicatore, e organizzare l’ambiente domestico in modo che possa salire e arrampicarsi può portarlo a sentirsi più tranquillo e sicuro», spiega ancora Perini.

«Ciò che dobbiamo ricordarci è che, se è presente un malessere, vuoi sanitario vuoi psicologico, il gatto lo esprime. Per noi umani può essere più difficile capire le necessità o i disagi dei gatti che dei cani: proprio per questo è particolarmente importante dedicare loro tempo e imparare a conoscerli», conclude il veterinario.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Photo by Max Sandelin on Unsplash

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.