Medicina, politica, ambientalismo: le molte vite di Laura Conti
Laura Conti è stata una figura chiave dell’ambientalismo italiano e una donna dai molteplici interessi, che ha portato i problemi ecologici in politica perché "non basta studiare, bisogna anche darsi da fare".
“Non sono una scienziata, ma una studiosa dei problemi ecologici. Pur trovando affascinante lo studio, penso che sia importante anche agire ed operare. Per questo motivo ho deciso di fare politica: non basta studiare, bisogna anche darsi da fare.”
Medica, femminista, divulgatrice scientifica, scrittrice. Laura Conti, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, ha vissuto molte vite in una. Anticipatrice e pioniera dell’ambientalismo italiano, ha affrontato con decenni di anticipo questioni fondamentali come l’importanza della sostenibilità della produzione industriale, il problema delle monocolture che depauperano i terreni, il conflitto tra diritto alla salute e diritto al lavoro. Battitrice libera e controcorrente, ha portato avanti le sue battaglie con una passione bruciante e con spirito militante, da combattente. Ed è proprio l’attivismo politico – iniziato durante la seconda guerra mondiale, da partigiana – il filo rosso della sua esistenza.
Iscritta al PCI, con incarichi via via sempre più importanti, non ha mai vissuto la sua appartenenza al partito in chiave ideologica o fideistica. È stata, a tutti gli effetti, un’intellettuale organica, interessata cioè a cogliere le istanze provenienti dalla società in modo da compiere azioni concrete per il miglioramento della vita collettiva. Lungi dall’accettare supinamente le posizioni ufficiali del partito, in più di un’occasione ha manifestato con forza il suo dissenso, per esempio nei confronti del nucleare.
I primi anni e le esperienze durante la guerra
Laura Conti nasce a Udine nel 1921. Trascorre i primi anni di vita a Trieste, ma la famiglia è costretta a lasciare la città perché il padre – convinto democratico – è costantemente vittima di azioni violente da parte dei fascisti. Dopo un breve periodo a Verona, i Conti si trasferiscono a Milano. Laura cresce in un ambiente ricco di stimoli culturali; gli scaffali di casa sono carichi di libri, ed è proprio leggendo un libro – la biografia di Marie Curie – che nasce la sua passione per la scienza.
Dopo il diploma vorrebbe studiare biologia, ma il corso di laurea in scienze biologiche non è ancora stato istituito. Decide quindi di optare per medicina, mossa anche dalla convinzione che, come dichiarerà in un’intervista, la professione medica sia “una specie di isola felice, al riparo dalle pressioni fasciste”.
Nel gennaio del 1944 entra a far parte del Fronte della gioventù, la più importante ed estesa organizzazione giovanile partigiana. Le viene affidato l’incarico di fare proselitismo antifascista presso le caserme. “Avevo molta paura, ma al contempo avevo la sensazione che il mondo fosse troppo piccolo per albergare i nazisti e me, che fosse persino necessario morire, perché se i nazisti avessero trionfato, il mondo non avrebbe più avuto attrattive”.
Il 4 agosto 1944 viene arrestata e imprigionata nel carcere di San Vittore, a Milano. Due mesi dopo è trasferita nel campo di transito di Bolzano, dove resterà fino al termine della guerra, evitando la deportazione in Germania. Nel campo entra a far parte del comitato di resistenza clandestino e all’inizio del 1945 riesce a inviare all’esterno un articolo sulle terribili condizioni dei prigionieri del lager, pubblicato sull’Avanti! e letto in una trasmissione di Radio Londra.
Medicina, politica, cultura
Finita la guerra, Laura Conti riprende gli studi e nel 1949 si laurea in medicina. Si trasferisce quindi a Vienna, dove si specializza in ortopedia. Rientrata a Milano, sin dall’inizio affianca alla professione medica l’attività politica e l’impegno culturale. Lavora come traumatologa presso l’INAIL e nei servizi di medicina scolastica. Dopo un breve periodo al PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), nel 1951 si iscrive al Partito Comunista Italiano. Negli anni Sessanta, consigliera provinciale a Milano, si occupa delle politiche di assistenza e tutela nei confronti dei pazienti psichiatrici e delle ragazze madri. In questo periodo ricopre anche l’incarico di segretaria della Casa della Cultura di Milano, una delle più importanti associazioni culturali italiane, frequentata da intellettuali come Elio Vittorini e Giulio Einaudi. Nel 1963 pubblica il suo primo romanzo, “Cecilia e le streghe”, vincitore del premio Pozzale. Nel libro vengono affrontati, con tono lieve e poetico, temi fondamentali come la malattia, la morte, la fede e l’eutanasia. Due anni dopo esce “La condizione sperimentale”, in cui ripercorre la sua esperienza nella Resistenza e nel lager di Bolzano.
L’ambientalismo e il disastro di Seveso
Conti inizia a interessarsi alle questioni ambientali quando in Italia l’ecologia è un argomento per pochi, fuori dall’agenda politica istituzionale. Molti anni prima che si inizi a parlare di sostenibilità ambientale, si interessa – sia come politica che in qualità di divulgatrice – allo stretto rapporto che lega ambiente, salute, interessi economici e ricerca scientifica. In breve tempo diventa una figura chiave del nascente movimento ambientalista italiano. Nel 1972 entra a far parte di Medicina Democratica, movimento fondato dal medico Giulio Alfredo Maccacaro con l’obiettivo di mettere al centro della riflessione pubblica il diritto alla salute nei luoghi di lavoro. In quel periodo ottiene l’incarico di consigliera regionale ed entra a far parte della Commissione ambiente e territorio della Regione Lombardia.
Il 10 luglio 1976 dall’ICMESA, industria chimica a nord di Milano, esce una nube tossica contenente diossina, che ricade su una vasta area abitata e colpisce in particolare il comune di Seveso. Laura Conti, in qualità di medica e consigliera regionale, si reca presso i luoghi colpiti dal disastro e non risparmia il suo aiuto e la sua vicinanza agli abitanti. Segue in particolare le donne incinte, alle quali viene eccezionalmente concessa, dato il rischio di malformazione dei nascituri, la possibilità di abortire. Il diritto all’aborto diverrà legge due anni dopo, nel 1978.
Nei mesi successivi al disastro di Seveso, Conti conduce una dura lotta contro chi tenta di far dimenticare in fretta la catastrofe ambientale e nel 1977 pubblica il saggio di denuncia “Visto da Seveso. L’evento straordinario e l’ordinaria amministrazione”. Sull’evento scrive anche un romanzo, “Una lepre con la faccia di bambina”, da cui nel 1989 è stata tratta una fiction con Franca Rame e Amanda Sandrelli.
Gli ultimi anni
Nel 1980 Laura Conti partecipa alla fondazione della “Lega per l’ambiente” – oggi Legambiente – di cui per alcuni anni guiderà il comitato scientifico. Si ritira dalla professione medica nel 1984, ma continua a partecipare a convegni, dibattiti e campagne di informazione a tematica ambientalista. Nel 1986 le viene conferito il Premio Minerva, il primo riconoscimento italiano dedicato alle eccellenze femminili, per la sua instancabile opera di divulgazione scientifica e culturale. Quello stesso anno, dopo il disastro di Chernobyl, e poi in occasione del referendum del 1987, ribadisce con forza la sua contrarietà all’utilizzo dell’energia nucleare.
Non interrompe mai il suo impegno politico e nel 1987 viene eletta alla Camera dei Deputati. In quegli anni lavora a una legge per la regolamentazione della caccia, al centro di numerose polemiche. Da una parte la legge suscita il malcontento dei cacciatori, contrari alla limitazione dei loro privilegi, dall’altra provoca accese proteste da parte dei movimenti ambientalisti, tra cui la stessa Legambiente, che vorrebbero l’abolizione definitiva di questa pratica. Nel 1992 Conti scrive “Discorso sulla caccia”, libro dedicato a questa tribolata esperienza, che la segna anche dal punto di vista umano. Muore a Milano poco dopo, il 25 maggio 1993.
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