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Marie Curie. Due Nobel e una vita per la scienza

È probabilmente la donna di scienza più conosciuta e ammirata al mondo, pioniera e role model per eccellenza. Ma prima di Marie Curie c'è stata Maria Skłodowska, che ha frantumato il soffitto di cristallo.

Nella vita di Maria Skłodowska, passata alla storia come Marie Curie, troviamo molti elementi che spesso caratterizzano, ancora oggi, il trascorso di una persona che si occupa di scienza. La fuga di cervelli, la quotidianità da straniera in terra straniera, le difficoltà nel reperire i fondi per portare avanti la ricerca, le notti insonni passate a studiare. Prima dei due Nobel, c’è la storia di una ragazza curiosa che decise di studiare nella più importante università del mondo occidentale, che con un materasso e qualche vestito lasciò la sua amata Polonia, che trascorse anni interi a lavorare in condizioni drastiche e che subì sulla sua pelle la discriminazione di genere. Ma che, nonostante tutto, è riuscita a guadagnarsi un posto d’onore nella Storia della scienza.

L’infanzia a Varsavia

Maria Salomea Skłodowska nacque a Varsavia il 7 novembre 1867, a quel tempo dominata dai russi. I genitori, una coppia di insegnanti illuminati, incoraggiarono lei e gli altri cinque figli e figlie a studiare quante più cose possibili. Maria, per tutti Manya, dimostrò fin da piccolissima delle eccezionali doti di memoria e di apprendimento. A soli quattro anni superò la sorella maggiore Bronia nel leggere un testo di fronte ai genitori sbigottiti e lei, candidamente, si giustificò dicendo che era una cosa che le veniva facile.

Maria cominciò a studiare da autodidatta aiutata dal padre, da cui ereditò la passione per la scienza e la poesia, mentre dalla madre, dotata di un grande talento musicale e che amava trascorrere il tempo libero a lavorare il cuoio nel piccolo laboratorio che si era costruita da sola, ereditò l’inclinazione per il lavoro manuale, quello che richiede tempo e concentrazione.

Quand’era poco più che un’adolescente, Maria fu colpita da una serie di disgrazie familiari. Nel 1871 la madre si ammalò di tubercolosi e nel 1873 il padre perse il lavoro. Anche le sorelle Zofia e Bronia si ammalarono di tifo e Zofia, la sorella maggiore, morì nel 1876. Due anni dopo morì anche la madre.

Due sorelle che han fatto un patto

Pochi mesi dopo la morte della madre, Maria s’iscrisse al ginnasio pubblico di Varsavia, che terminerà nel 1883, risultando prima della sua classe. Maria, però, non era felice delle pochissime prospettive che le offriva Varsavia. Nella città polacca erano molte le giovani che riempivano aule e circoli intellettuali e Maria, insieme a Bronia e a un gruppo di ragazze, aiutò a fondare un’accademia femminile conosciuta come l’Università Volante, una realtà in cui le ragazze potevano riunirsi, imparare cose nuove e impegnarsi per il miglioramento di tutta la Polonia, così come voleva la corrente polacca del Positivismo. Ma nonostante tutto, le donne erano escluse dalle università.

Anche se di buona famiglia, per una ragazza non era facile prendere armi e bagagli e andare via. C’è poi da considerare il fatto che Maria amava molto il suo paese e lasciarlo le costava caro. E poi i soldi erano pochissimi e le possibilità molto limitate. Le due sorelle decisero quindi di allearsi: Bronia avrebbe avuto per prima la possibilità di trasferirsi a Parigi per studiare medicina alla Sorbona mentre Maria sarebbe rimasta ancora in Polonia, aiutando economicamente la sorella grazie al suo nuovo lavoro come istitutrice presso una famiglia – esperienza frustrante per le scarse capacità dei suoi allievi e per una liaison tormentata con il maggiore di questi. Finiti gli studi, Bronia avrebbe trovato un impiego e ricambiato il favore a Maria, che avrebbe avuto quindi la possibilità di raggiungerla in Francia.

In Francia, sì, ma per studiare cosa?

Studentessa di fisica alla Sorbona

Fisica o letteratura, questo il dilemma. Rientrata in città dopo la tetra esperienza come istitutrice, si concesse una giornata di svago, a casa di un cugino, uno degli assistenti del chimico Dmitrij Mendeleev. Fu qui che per la prima volta in vita sua, Maria entrò in un laboratorio, e qualcosa scattò nella sua testa. Non sarebbe mai più uscita da un laboratorio e a Parigi ci sarebbe andata per studiare fisica.

A 24 anni, con i pochi rubli che aveva messo da parte, acquistò un biglietto di quarta classe e dopo un estenuante viaggio di tre giorni giunse finalmente nella capitale francese. Parigi, la città dove i fratelli Lumiere stavano mettendo a punto il cinematografo e che avrebbe accolto qualche anno dopo l’Esposizione Universale del 1900. Qui Maria divenne Marie e dopo il riconoscimento del suo diploma polacco, s’iscrisse alla facoltà di scienze della Sorbona, che al tempo accoglieva il 3% di donne tra gli allievi. A fisica, le colleghe di Marie erano solo 23, cioè l’1% scarso sul totale degli iscritti.

Dopo tre anni di vita monastica, passati tra la scuola, la biblioteca e la sua stanza e con poco più di cento franchi in tasca al mese per pagare tutto, conseguì contemporaneamente la licenza in scienze fisiche e quella in scienze matematiche, tra il 1893 e il 1894. Il solo lusso che ogni tanto si concedeva era comperare qualche scampolo di stoffa per ravvivare i suoi vestiti, quelli arrivati con lei dalla Polonia ormai logori e vecchi.

Signora Curie, Scuola di Fisica e Chimica, 42, via Lhomond

Pierre Curie, scienziato conosciuto e affermato, all’inizio del Novecento era impegnato con il fratello Jacques nello studio di alcune proprietà dei cristalli, arrivando a descrivere il fenomeno della piezoelettricità, la capacità di determinati cristalli di una particolare forma geometrica di caricarsi elettricamente se compressi. Marie stava invece cercando disperatamente un laboratorio dove poter continuare le sue ricerche. I due si incontrarono a casa di un comune collega, in una situazione informale. Parlano tutta la sera, di scienza e di letteratura, della Polonia e dei loro sogni di scienziati. Si innamorarono seduta stante.

Marie e Pierre si sposarono il 26 luglio 1895. Lei indossò un vestito nuovo, azzurro mare e molto pratico, così da poterlo usare anche in laboratorio. Come dono di nozze ricevettero due biciclette, una passione di entrambi, con cui girovagarono in lungo e in largo per la Francia e l’Europa intera.

A Marie la vita matrimoniale piaceva e spaventava allo stesso tempo. Desiderava dei figli ma sapeva che questi potevano toglierle molte preziose ore al suo lavoro. Quando nasceranno le figlie, Irene ed Eve, sarà il padre di Pierre a prendersi cura delle bambine, lasciando così Marie libera di andare in laboratorio. In un tempo in cui la maggior parte delle donne erano tagliate fuori dall’istruzione superiore, era impensabile avere congedi parentali, aiuti economici o pratici per sostenere due genitori lavoratori. La famiglia era tutta a carico della madre. In suo suocero, Marie trovò un solido e preziosissimo alleato.

Polonio

Mentre Pierre continuava i suoi studi sui cristalli, Marie pensava all’argomento della sua tesi di dottorato, lavorando al contempo come assistente nel laboratorio del marito, a titolo gratuito ovviamente. Affascinata dalle ricerche di Bequerel, cominciò a studiare esclusivamente le radiazioni emesse dall’uranio, di cui si ignorava la natura.

Dopo settimane di esperimenti e dopo aver testato diversi campioni, Marie trovò che nella pechblenda, un minerale contenente uranio generalmente utilizzato per colorare il cristallo, le radiazioni erano quattro volte più potenti di quelle emesse dall’uranio semplice. In un primo momento pensò a un errore di misurazione, ma presto si convinse che non era così. Pierre si rese conto della portata delle scoperte della moglie, cominciando ad affiancare Marie in questa ricerca. Riuscirono a ottenere una sostanza la cui radioattività è fino a 400 volte maggiore di quella dell’uranio. Fu Marie sola, in una relazione all’Accademie des Sciences nel 1898, a dire che «tutto porta a credere che ci sia un altro elemento molto più attivo dell’uranio». Nel luglio 1898 i coniugi Curie annunciarono: «se l’esistenza di questo nuovo metallo è confermata, noi proponiamo di chiamarlo polonio dal nome del paese di origine di uno di noi».

Radio

Forse l’eccitazione per la scoperta fece agire di fretta i Curie, perché solamente cinque mesi dopo l’annuncio sul polonio, insieme al chimico Bémont, riferirono all’Académie: «Abbiamo riscontrato una seconda sostanza fortemente radioattiva e interamente differente dalla prima per le sue proprietà chimiche». Nella primavera del 1902, Marie annotò sul suo diario «RA = 225.93», il peso atomico del nuovo elemento chimico, 900 volte più radioattivo dell’uranio, il radio.

Da qui la storia è conosciuta a moltissimi: nel 1903 Marie e Pierre, congiuntamente a Bequerel, ricevettero il Premio Nobel per la fisica per la scoperta della radioattività. Marie Curie fu la prima donna nella storia dei Nobel a ricevere il premio. Inizialmente la candidatura di una donna venne vista come un’eccezionale e sbagliata novità. Non tutti erano d’accordo a Stoccolma e si voleva assegnare il premio solo a Pierre e Bequerel. Fu Pierre a imporre la nomina congiunta della moglie, perché fu «il suo primo lavoro ad avere determinato la scoperta di nuovi corpi, la sua parte in questa scoperta è molto cospicua».

Il baratro, poi sulla vetta di nuovo

La fama travolse la vita dei coniugi Curie: iniziarono a essere assediati da giornalisti e curiosi e la tranquillità di un tempo parve perduta per sempre. I nervi di Marie crollarono e i primi effetti dell’esposizione alle alte dosi di radiazioni cominciarono a farsi notare. Anche Pierre accusò gli stessi sintomi, peggiori di quelli della moglie, ma non lo diede a vedere. È per colpa della loro salute instabile che Marie e Pierre non andranno a Stoccolma a ritirare il premio. Nonostante i problemi di salute, questo fu per la famiglia Curie un periodo felice, fatto di lavoro e gioie domestiche.

Fino al 19 aprile 1906, quando su via Dauphine a Parigi, Pierre Curie morì investito da una carrozza. In questa tristissima circostanza, la Sorbona offrì a Marie la cattedra appartenuta a Pierre, diventando così la prima donna a insegnare alla prestigiosa università francese. Il 5 novembre 1905 la Facoltà di scienze era affollata di gente, per lo più disinteressata della lezione sulla teoria degli ioni nel gas di Madame Curie. Erano tutti lì per vedere da vicino la Vedova illustre.

Dopo la morte di Pierre, Marie continuò a lavorare alle sue ricerche e a quelle lasciate in sospeso dal marito, e questo a Stoccolma non passò inosservato. Se in Francia la figura di Madame Curie cominciò a essere oggetto di critiche e attacchi personali, in Svezia vollero ancora una volta omaggiare la scienziata con il premio Nobel «per i servizi resi all’avanzamento della chimica attraverso la scoperta degli elementi radio e polonio, per l’isolamento del radio e per lo studio della natura e dei composti di questo elemento straordinario». Era il 1911. Marie Curie divenne così la prima persona nella storia a ricevere due volte il premio Nobel. Anche se malata e stanca andò a Stoccolma con la figlia Irene – che ventiquattro anni dopo ritirerà lo stesso premio nella stessa sala, in coppia con suo marito Frederic Joliot.

Lo scandalo Langevin-Curie

Nel frattempo, in Francia si scatenò una vera e propria campagna denigratoria contro Marie. La stampa xenofoba e di estrema destra la attaccò dipingendola come una polacca giunta in Francia per appropriarsi non solo di idee scientifiche francesi ma anche per rovinare le famiglie francesi. Motivo di questa diffamazione fu il ritrovamento (anzi, la sottrazione) di alcune lettere che Madame Curie e Paul Langevin, fisico francese già collaboratore di Pierre, si scambiarono per diverso tempo, confermando una relazione tra i due. La moglie di Langevin arrivò a minacciare Marie in strada con una pistola e la sua casa fu presa d’assalto dai paparazzi.

La risonanza dell’affare Langevin-Curie fece persino tentennare l’Accademia di Stoccolma, che inizialmente invitò Madame Curie a non andare a ritirare il suo secondo premio Nobel. Albert Einstein, che Marie conobbe in occasione del Convegno di Solvay nel 1911, le scrisse una lettera riconoscendo le «maniere indecenti» (sono le parole di Einstein) che i francesi stavano usando nei suoi confronti. La vicenda si affievolì con il clamore della seconda vittoria del Nobel di Marie ma lo stress e la paura di quelle settimane lasciarono Madame debilitata e fragile.

Impegno per la pace

Da molti anni la salute di Marie risentiva delle lunghe esposizioni alle radiazioni. I medici le diagnosticarono una malattia ai reni e fu necessario un intervento e la lunga convalescenza. Potè allora dedicare le sue poche forze alla costruzione dell’Istituto del Radio, oggi Istituto Curie, in Francia e in Polonia, suo grandissimo orgoglio. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si fece promotrice, insieme a Irene, di un progetto innovativo, una serie di ambulanze attrezzate con gli ultimi apparecchi radiologici di servizio al fronte, le “Petite Curie”.

Negli ultimi anni della sua vita si dedicò ad attività volte alla pace e al riconoscimento dell’alto valore della scienza. Quando scoprì il radio, d’accordo con Pierre, decise di non depositare il brevetto delle procedure messe a punto per la sua estrazione. La scienza, diceva, doveva essere libera, aperta, fruibile a chiunque. Nel 1922 accettò di far parte della Commissione internazionale di cooperazione intellettuale per la Società delle Nazioni, per poter fare la sua parte quale ambasciatrice della scienza, sostenitrice della libera circolazione delle idee, della coordinazione della bibliografia scientifica e della salvaguardia di prodotti dell’intelletto.

Colpita da anemia aplastica, Marie Curie morì a Passy, in Alta Savoia, il 4 luglio del 1934.

Nel 1995 i suoi resti, insieme a quelli di Pierre, furono portati al Pantheon di Parigi. A causa dell’alta radioattività, la sua bara fu avvolta per cautela in un involucro di piombo. Marie Curie è ancora una volta “una prima donna della storia”, la prima donna ad essere sepolta nel mausoleo parigino.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Serena Fabbrini
Storica della scienza di formazione, dopo un volo pindarico nel mondo della filosofia, decido per una planata in picchiata nella comunicazione della scienza. Raccontare storie è la cosa che mi piace di più. Mi occupo principalmente di storie di donne di scienza, una carica di ispirazione e passione che arriva da più lontano di quanto pensiamo. Ora dedico la maggior parte del mio tempo ai progetti di ricerca europei e alla comunicazione istituzionale.