Farmaci tosti, confusione, paure: sono gli elementi che allontanano chi soffre di dolore cronico da una soluzione al loro problema. In Italia più volte si legge che manca una rete di riferimento, una figura professionale a cui rivolgersi e il paziente resta solo, magari incompreso. Ne abbiamo parlato precedentemente su OggiScienza con Franca Benini, per dare voce al suo progetto e tracciare una sintesi del panorama attuale.
LA VOCE DEL MASTER - Può davvero l'atteggiamento del medico influenzare anche a livello chimico la risposta di un paziente ad una terapia o anche solo alla somministrazione di un placebo? Ci rispondono Giorgia Silani, ricercatrice di neuroscienze cognitive alla Sissa di Trieste e Fabrizio Benedetti, responsabile del Laboratorio di Neurofisiologia dell'effetto placebo dell'Università di Torino, che abbiamo intervistato in occasione dell'incontro "Neuroscienze dell'empatia" tenutosi durante Infinitamente, il festival di arte e scienza dell'Università di Verona. Nel suo ultimo studio, pubblicato sul numero di Marzo della rivista Pain, Fabrizio Benedetti e i suoi collaboratori hanno analizzato come una suggestione verbale positiva da parte del medico curante attivi nel cervello il rilascio di sostanze chimiche simili alla morfina, le endorfine, e alcune simili alla cannabis,ovvero i cannabinoidi.
Uno studio europeo fotografa una situazione positiva, in Italia, per la disponibilità e la facilità di prescrizione dei potenti farmaci oppiodi per la terapia del dolore. L'oncologa Carla Ripamonti dell'Int di Milano ci spiega perché allora rimangono forti resistenze al loro impiego