Dopo la denuncia di Greenpeace, il colosso dell’energia nucleare Areva ammette di aver contaminato il villaggio Akokan situato vicino alle miniere estrattive. I livelli di radioattività sono fino a 500 volte più alti del normale
ESTERI – Per gli abitanti del villaggio africano di Akokan, in Niger, non è salutare fare una passeggiata all’aperto. L’aria che respirano è radioattiva. Come il suolo che calpestano. Colpa della contaminazione da uranio provocata dalla compagnia nucleare francese Areva, che in quella zona controlla le miniere da cui estrae il “carburante” per le sue centrali atomiche. Areva è la stessa compagnia coinvolta nella “rinascita nucleare” del nostro Paese, incaricata in base all’accordo tra Enel e Edf di sviluppare le eventuali centrali di terza generazione che il governo italiano vorrebbe costruire (dove non si sa ancora).
Nel Niger, tra i principali paesi produttori di uranio, Areva possiede due miniere dove sono impiegate 1.600 persone. Nei giorni scorsi, in seguito al sopralluogo e alle denunce dell’organizzazione ambientalista Greenpeace, la società ha ammesso di aver contaminato il paese di Akokan smaltendo gli scarti delle miniere di uranio nella costruzione delle strade. All’ammissione di responsabilità ha fatto seguito l’impegno di bonifica, ma i precedenti non lasciano ben sperare.
Già dal 2003 la Commissione francese di ricerca e d’informazione indipendente sulla radioattività (Criirad) aveva rilevato i primi indizi di contaminazione. Nel 2007, dopo quattro anni, i livelli di radioattività in alcuni punti della città superavano di ben 100 unità i parametri di fondo. Così, l’anno seguente, Areva si era impegnata a bonificare la zona sotto il controllo delle autorità locali, che hanno poi confermato l’avvenuta bonifica. Peccato che non fosse vero. Infatti lo scorso novembre 2009 una spedizione di Greenpeace – con la collaborazione di Criirad e della rete di associazioni locali Rotab – ha visitato le miniere e i villaggi vicini, smascherando la reale situazione, più drammatica del previsto. Gli indici di contaminazione arrivano a 500 volte il valore dei livelli di fondo, anche negli stessi punti che AREVA sosteneva di aver bonificato, con tanto di conferma del Ministero delle Miniere del Niger. Il rapporto preliminare di Greenpeace “Uranium mines in Niger, radioactivity in the streets of Akokan”
denuncia un “serio rischio di esposizione diretta alle radiazioni per chiunque trascorra il tempo per le strade di Akokan. In più, c’è il pericolo che la polvere radioattiva possa essere dispersa in giro in mancanza di strati protettivi sulle rocce di scarto delle miniere”. Ai livelli di radioattività rilevati basta stare fermi un’ora al giorno in strada per assorbire il massimo della dose annua ammessa dalla Commissione Internazionale per la Radioprotezione (International Commission on Radiological Protection, ICRP).
“Quello che si sospettava all’epoca ha trovato conferma”, spiega Alessandro Giannì, responsabile delle campagne di Greenpeace. “Areva ha smaltito i rifiuti radioattivi nella maniera più comoda: impiegandoli nella costruzione di strade che vengono utilizzate dalla popolazione. Ora ha ricominciato a pulire i siti indicati da Greenpeace, ma l’affidabilità della compagnia del nucleare francese è ai minimi storici”.
“Il metodo comodo e poco costoso di smaltire i rifiuti radioattivi in Niger – continua Giannì – riporta alla mente quanto avvenuto in Italia per le miniere toscane di mercurio ai piedi del monte Amiata. Nei decenni scorsi i materiali di scarto dell’estrazione sono stati utilizzati per costruire strade nel circondario della provincia di Grosseto, contaminando il suolo e le acque. Nonostante la chiusura delle miniere, la contaminazione dei bacini della zona si è rivelata comunque molto allargata”.
Ora il coinvolgimento di Areva in Niger rischia di gettare ulteriori ombre sul ritorno del nucleare in Italia, inasprendo uno scontro tra governo e autorità locali che si preannuncia già durissimo.