Da un’idea di un professore di Bologna è nato “Last Minute Market”: un sistema per recuperare gli scarti della piccola e grande distribuzione e donarli a chi ne ha bisogno. Così lo spreco si trasforma in risorsa. Beneficenza? No: qui ci guadagnano tutti
ECONOMIA – Ogni giorno nelle nostre città tonnellate di cibo commestibile finiscono nella spazzatura, mentre migliaia di persone non hanno da mangiare. È un paradosso che, tuttavia, è il risultato delle piccole scelte di ciascuno di noi. Tra una confezione di yogurt che scade tra tre settimane e un’altra, identica e allo stesso prezzo, la cui data di scadenza segna tre giorni dopo l’acquisto, chi esita a scegliere la prima? Tra una pagnotta appena sfornata e uno sfilatino raffermo del giorno prima, o tra una rete di arance perfette e un’altra in cui si intravedono un paio di agrumi ammuffiti, quanti metterebbero nel carrello le seconde? Ci sono prodotti il cui destino verso la discarica è segnato. Sono buoni, ma esteticamente brutti, mal confezionati, ammaccati, in scadenza o semplicemente fuori moda (vedi panettoni e torroni dopo le feste natalizie). Nessuno li compra più. Eppure molti li vorrebbero.
Perché non collegare la domanda e l’offerta? L’idea è venuta a un economista e agronomo dell’Università di Bologna, Andrea Segrè, attuale preside della Facoltà di Agraria, che insieme ad alcuni ex-studenti ha messo in piedi Last Minute Market, un sistema intelligente per strappare dai cassonetti le eccedenze della piccola e grande distribuzione e metterli a disposizione delle associazioni di volontariato. Oggi Segrè è a capo dello spin-off dell’ateneo bolognese che gestisce 40 progetti di Last Minute Market attivati in 12 Regioni e diverse città, da Cagliari a Verona, da Modena a Bologna, da Ferrara a Venezia. Finora sono stati coinvolti 7 ipermercati, 2 mercati all’ingrosso, 32 negozi, 28 mense e 8 aziende agricole.
“La chiave del successo di questo modello sta nel corto raggio dei passaggi, quello che io chiamo il recupero dello spreco a km zero”, spiega Segré. “Gli esercizi commerciali che aderiscono al progetto depositano le merci invendute in magazzino. Nel giro di pochissime ore i prodotti vengono ritirati direttamente dagli incaricati delle associazioni no-profit e trasportati nelle mense delle vicinanze, dove sono cucinati il giorno stesso. Questo permette di consumare le eccedenze laddove si formano. Il cerchio si chiude localmente, con le massime garanzie dal punto di vista igienico-sanitario e nutrizionale”.
I numeri di Last Minute Market sono la cifra del suo successo: ogni anno permette di recuperare 585 tonnellate di cibo l’anno, con cui vengono preparati un milione e 120 mila pasti, per un valore di 1 milione e 800 mila euro. “Se il modello venisse adottato sull’intero territorio italiano – continua Segré – si potrebbero salvare ogni giorno 658 tonnellate di cibo, ben 240 mila tonnellate all’anno, per un valore complessivo di quasi un miliardo di euro. Sarebbe possibile fornire tre pasti al giorno a 636.600 persone, più o meno la popolazione di una città come Genova, e risparmiare 291.393 tonnellate di anidride carbonica che sono invece attualmente prodotte a causa dello smaltimento del cibo come rifiuto.”
Ma non si tratta di un’opera di beneficenza o di filantropia. “Questo sistema funziona perché vincono tutti, è un modello win-win-win”, specifica il professore bolognese. “Ci guadagnano i beneficiari, associazioni di volontariato e no-profit, perché fanno la spesa gratuitamente. Ci guadagnano i donatori, ipermercati e privati, che ne traggono vantaggi economici e fiscali. Infatti risparmiano i costi dello smaltimento della merce invenduta e recuperano l’IVA (circa il 4%) sui prodotti alimentari donati. Infine, ci guadagna lo spin-off che offre servizi di consulenza ad amministrazioni pubbliche e imprese interessate”. E ci guadagna l’ambiente, perché meno sprechi alimentari significa più cibo e più solidarietà, ma anche meno rifiuti, meno inquinamento e più sostenibilità.
Un modello così efficiente non poteva restare confinato ai prodotti alimentari. “Negli anni ci siamo allargati ad altri beni, promuovendo il recupero di farmaci, che vengono comunemente tolti dagli scaffali sei mesi prima della data di scadenza, di libri destinati al macero, di pasti pronti, prodotti ortofrutticoli che rimangono nei campi, sementi e prodotti non alimentari”. Qualche esempio? “Otto mense scolastiche che partecipano al progetto hanno permesso di recuperare 15 mila pasti all’anno, due ospedali di Bologna hanno donato 80 pasti al giorno. Nel 2009 abbiamo salvato oltre 40 mila libri che sono stati devoluti a biblioteche, case di cura, circoli ricreativi. A Ferrara lo scorso anno sono stati raccolti medicinali per un valore complessivo di 15 mila euro da 11 farmacie aderenti, mentre i produttori agricoli hanno donato complessivamente 22 tonnellate di frutta e verdura che altrimenti sarebbe rimasta a marcire nei campi”.