Quasi la metà di tutte specie di primati che vivono sul nostro pianeta rischia di sparire.
AMBIENTE – Disboscamento selvaggio, caccia e commercio. Queste le minacce principali che, stando a un rapporto internazionale firmato da ottantacinque primatologi, stanno mettendo in serio pericolo il 48% di tutte le 634 specie di primati esistenti.
Molte scimmie, scimpanzé e lemuri rischiano di venir spazzate via dalla faccia della Terra in un breve lasso di tempo; in molti paesi africani e in Madagascar i problemi sono rappresentati dai disboscamenti illegali, dalla distruzione delle foreste attraverso il fuoco e dalla caccia, mentre in Asia, e soprattutto in Cina, la grossa piaga è il commercio di parti animali, conseguenza della medicina tradizionale.
Il rapporto è stato appena presentato nella sede dello zoo di Bristol, da varie organizzazioni ambientaliste che operano sul campo, come l’International Union for Conservation of Nature (IUCN), il Conservation and Science Foundation, il Conservation International e l’International Primatological Society. È stata stilata una “lista rossa” delle venticinque specie più in pericolo, e i dati sono piuttosto allarmanti: per esempio il “presbite dalla testa bianca” (Trachypithecus poliocephalus), che si trova nel Nord-Est del Vietnam, è ridotto ad appena sessanta-settanta individui; sempre nella stessa zona, dei “gibboni di Hainan” (Nomascus nasutus) rimangono solo centodieci esemplari, e i “lepidemuri settentrionali” (Lepilemur septentrionalis) in Madagascar ammontano a un centinaio.
A minacciare l’esistenza dei nostri “cugini” sono spesso le politiche governative, come, ad esempio, in Madagascar, dove la crisi politica ed economica ha determinato un radicale disboscamento più o meno legalizzato, e sempre la deforestazione in Vietnam sta mettendo in pericolo gli “oranghi di Sumatra” (Pongo abelii), per fare spazio a piantagioni di palme, mentre il commercio di ossa, organi e altri tessuti animali ha ridotto il numero di “presbite di Delacour” (Trachypithecus delacouri) a circa 320 esemplari.
Lo scopo del documento è soprattutto incoraggiare i governi a impegnarsi maggiormente nelle misure per la conservazione della biodiversità, in vista anche del meeting di ottobre in Giappone.
I proponenti suggeriscono azioni come quelle contenute nel programma Redd (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation in Developing Countries), promosso dalle Nazioni Unite. L’idea è che i paesi ricchi possano pagare i paesi emergenti per mantenere le loro foreste, prevenendo nel contempo future emissioni di gas serra nel pianeta, e magari, successivamente incentivare la piantagione di più alberi, ripristinando le foreste e l’habitat devastato dei primati.