LA VOCE DELLA BILANCIA – Poche settimane fa, l’Ansa titolava “Neuromarketing spia cervello dei consumatori. Psicologi e neurologi leggeranno le menti al supermercato”, mentre su Nature è stato pubblicato uno studio dove si dimostra che studiare le immagini del cervello dei consumatori è fondamentale nella fase di creazione di una campagna pubblicitaria. Chi lo sa quanti lettori avranno capito di cosa si stava parlando? Tutti conosciamo il significato della parola marketing, perché è entrata prepotentemente nella nostra vita quotidiana da molti anni. Certo, pochi saprebbero darne una definizione corretta come farebbe un economista: letteralmente significa “mettere sul mercato” e si riferisce a tutte quelle iniziative che un’azienda fa considerando come obiettivo principale il maggior profitto che si può ricavare da un prodotto. Se preferite le citazioni, Russell Winer, professore di economia alla New York University, definisce il marketing come l’insieme delle attività che mirano a influenzare le scelte dei consumatori.
Queste attività le abbiamo davanti ai nostri occhi tutti i giorni: martellanti campagne pubblicitarie con la showgirl del momento, rinnovamento del brand di un’azienda, il colore delle copertine dei libri, la disposizione dei prodotti in un negozio. Capire cosa orienta le scelte del consumatore è la chiave del successo per ogni prodotto. E per farlo bisogna entrare nella testa delle persone.
Il neuromarketing nasce dall’esigenza di conoscere “intimamente” i gusti dei consumatori per poter vendere ancora di più. Non stiamo parlando di una cosa futuribile: l’incontro tra l’economia e le neuroscienze (lo studio biologico e funzionale del nostro cervello) ha permesso di aprire una nuova strada (con tecniche modernissime) per capire, in sostanza, cosa ci guida quando decidiamo di acquistare un prodotto piuttosto che un altro.
La rivoluzione sta nel fatto che il neuromarketing affianca a tecniche tradizionali, come la verifica con focus group selezionati o la personalizzazione del messaggio in base al cliente, l’uso di tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale, per cercare di “vedere” cosa accade nella testa delle persone in risposta a un certo tipo di stimoli. Il fine è determinare quanto sia efficace quel tipo di comunicazione del prodotto; può riguardare la scelta di uno slogan, quella di un testimonial, il colore e la forma di una confezione. Le ripercussioni non sono banali e travalicano il puro ambito economico. In discussione ci sono prima di tutto la validità scientifica dei metodi di una disciplina che ha appena mosso i sui primi passi, la finalità stessa che è in definitiva vendere il più possibile e il fatto che questo metodo sfrutta i canali emozionali del consumatore e il suo ruolo nel processo decisionale.
Come sempre accade quando una nuova scienza si affaccia all’orizzonte della nostra vita è giusto che il dibattito sia aperto a tutti e coinvolga gli esperti, le istituzioni e i cittadini. Le occasioni di confronto non mancano perché è solo in questo modo che si può costruire una cittadinanza scientifica partecipata e attiva.
A Trieste, città della scienza per eccellenza, il 26 maggio è in calendario l’aperitivo scientifico Brainscan, organizzato dal Master in Comunicazione della scienza della Sissa, nell’Antico caffè San Marco, dove quattro esperti si confronteranno su questi temi.