CRONACA

Un tocco artificiale

La pelle artificiale si fa sempre più sensibile

NOTIZIE – Qualche anno fa Hugh Herr, guru della ricerca sulle protesi artificiali, durante una conferenza pubblica introduceva la sua visione di “uomo 2.0”. Ricordo come il suo discorso, una miscela esplosiva di follia visionaria e profonda competenza scientifica, mi aveva lasciato stupita, entusiasta, incuriosita, e un tantino sgomenta. Questa stessa sensazione tende  a riemergere ogni volta che leggo di lavori come questi pubblicati da poco su Nature Materials. Oggetto delle due ricerche è la pelle artificiale: due team, diversi e che hanno lavorato in maniera totalmente indipendente, hanno messo a punto dei dispositivi con caratteristiche diverse e complementari.

Il primo tipo di pelle artificiale è opera di Zhenan Bao e colleghi della Stanford University. I ricercatori hanno usato un polimero elastico (polidimetilsiloxano) che cambia capacitanza se sottoposto a pressione. Il dispositivo si è dimostrato molto più sensibile dei prototipi di pelle artificiale precedenti (è in grado di cogliere pressioni inferiori al chilopascal – pari alla pressione che sentiamo sui polpastrelli quando per esempio teniamo una matita fra le dita – contro le decine di chilopascal dei prototipi già esistenti). Controindicazione del modello di Bao: non è flessibile e questo lo rende difficile da applicare sia (in un futuro per ora remoto) sull’essere umano, sia nel campo della robotica.

Il secondo tipo di pelle artificiale è meno sensibile del primo, ma in compenso molto più elastico. Ali Jarvey dell’Università della California di Berkeley e colleghi hanno usato dei nanotubi semiconduttori (disposti a formare una griglia) posti sopra a uno strato di gomma sensibile alla pressione (un materiale che cambia resistenza quando sottoposto a pressione).

Perché la pelle artificiale è tanto importante? Al di la dell’ovvio vantaggio di disporre di arti artificiali più confortevoli perché in grado di sentire il contatto, proprio come quelli naturali, c’è un aspetto non del tutto ovvio, ma forse più importante. Soprattutto se parliamo di arti inferiori (gambe e piedi) il feedback sensoriale è fondamentale per garantire una camminata stabile, economica dal punto di vista energetico, e naturale. Per camminare bene abbiamo bisogno di sentire la pressione sotto i piedi e la posizione delle gambe. Per questo una pelle artificiale sensibile quanto quella umana sarebbe una manna per chi progetta protesi elettroniche artificiali.

La strada da percorrere resta comunque lunga. Bisogna lavorare per rendere la pelle sensibile non soltanto alle pressioni statiche ma anche a quelle dinamiche e biocompatibile (per integrarla cioè ai tessuti biologici sui quali deve essere impiantata). Non ultimo bisognerà trovare il modo di trasmettere i segnali sensoriali artificiali al cervello, e ancor prima tradurli in un codice comprensibile al cervello. Jarvey concorda sul fatto che l’obiettivo di usare la pelle artificiale sull’essere umano è ancora lontana, ma è sicuro invece che l’utilizzo sui robot non è così irraggiungibile.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.