AMBIENTE – Normalmente parchi e riserve marine sono gli strumenti migliori per preservare ecosistemi fragili e specie in pericolo. Si tratta per lo più di meravigliose e grandi aree dotate di un elevato grado di naturalità, spesso lontane dagli agglomerati urbani e il cui accesso è regolato in maniera scrupolosa. Eppure ci sono specie a rischio d’estinzione che le disdegnano, preferendo di gran lunga substrati artificiali ‘urbani’ situati in prossimità dei porti.
È ad esempio il caso della patella gigante (Patella ferruginea), uno fra gli invertebrati marini del Mediterraneo più minacciati d’estinzione, attualmente reperibile sulle isole del Mediterraneo occidentale, sulle coste della Spagna, Nord Africa e Mar Egeo.
Secondo Garcıa-Gomez e collaboratori dell’Università di Siviglia (Spagna) questo mollusco trova rifugio dall’impatto umano proliferando su strutture costiere come frangiflutti e banchine. Non ci sarebbe niente di male se non fosse che simili costruzioni difficilmente hanno lo status legale per essere protetti, data la loro natura e le piccole dimensioni.
È per questo che in un articolo recentemente apparso su Marine Ecology i ricercatori spagnoli chiedono la creazione di un network di micro-aree protette costituite da costruzioni artificiali costiere, che si distinguano per l’elevato valore ambientale delle specie e/o degli ecosistemi che vi risiedono. Secondo Garcia-Gomez e colleghi, ciò faciliterebbe la ripresa della popolazione di patella gigante così come di altre specie marine protette come il dattero di mare, Lithophaga lithophaga.
L’idea non è troppo balzana. In realtà in Spagna orientale esistono già micro-riserve (di dimensioni non superiori a 20 ettari) create per proteggere specie vegetali endemiche con una ridotta distribuzione spaziale. Si tratta di una misura di conservazione unica al mondo, che si è dimostrata particolarmente adatta per gestire piccole popolazioni di organismi non-mobili, come quelli vegetali. Rifacendosi ad essa, gli autori sottolineano come sotto il profilo ecologico, modalità di dispersione e di colonizzazione del substrato in primis, molti animali marini sessili non sono molto dissimili dalle piante.
Più in generale, la proposta rientra in quella nuova scienza che l’ecologo Michael L. Rosenzweig ha denominato ‘reconciliation ecology‘. Quest’ultima si basa sull’idea di creare e mantenere habitat favorevoli alla diversità biologica nei centri urbani (quindi in aree totalmente artificiali) e nelle aree naturali frequentate dalle persone.
Un simile approccio assume che i manufatti umani non sempre vanno ritenuti nocivi e distruttivi dell’ambiente ma possono talvolta, se opportunamente gestiti, rappresentare una risorsa e/o un habitat disponibile per svariati organismi, a costo zero per gli amministratori pubblici.
Senza – sia detto! – nulla togliere all’imperativo di preservare gli ecosistemi naturali.