Si chiama fossile l’acqua delle grandi “paleo-falde” che si sono formate decine di migliaia o milioni di anni fa. Non è più rinnovabile del petrolio, eppure si estrae con pari entusiasmo. Lo stesso accade alle acque sotterranee, rinnovabili in tempi più brevi.
IL CORRIERE DELLA SERRA – La società di consulenza McKinsey ha consegnato al governo yemenita un rapporto sui rifornimenti idrici di Sana’a. Al tasso di prelievo attuale, l’acqua delle paleo-falde che alimentano la capitale si esaurirà nel 2025. Al 90% serve a irrigare le coltivazioni di qat, una pianta di cui gli uomini masticano le foglie perché contengono una sostanza euforizzante.
E’ un esempio di sovrasfruttamento fra tanti. Secondo un modello di Marc Bierkens dell’università di Utrecht e altri ricercatori, l’acqua sotterranea e delle paleo-falde consumata nel mondo contribuisce a innalzare di un quarto circa il livello del mare (0,8 mm su 3,1 all’anno), più o meno quanto lo scioglimento dei ghiacciai. Oltretutto accelera il ciclo idrologico con probabili conseguenze sul clima.
Se ne preoccupa Roger Pielke Sr., spesso considerato uno che non crede al riscaldamento globale antropico. In realtà è convinto che sia dovuto alle nostre emissioni di gas serra, ma ritiene che i modelli di previsione del clima sottovalutino l’impatto delle pratiche agricole. Forse ha ragione.
In “Drought under Climate Change“, Aiguo Dai passa in rassegna le siccità dello scorso millennio aggiornate al 2008. Tenuto conto delle oscillazioni delle correnti oceaniche, scrive, il riscaldamento dagli anni ‘80 in poi ha aumentato la “domanda evaporativa” e diminuito l’umidità del suolo. Per il futuro, i modelli di previsione vanno migliorati d’urgenza: indicano siccità prolungate e piogge intense ma brevi qua e là, con troppi margini d’incertezza. Visto l’andamento negli ultimi trent’anni, Aiguo Dai consiglia agli abitanti di Stati Uniti (salvo l’Alaska), Europea meridionale e attorno al Mediterraneo in generale, Asia del sud-est, Brasile, Cile, Australia e Africa di gestire con oculatezza le risorse idriche.
Paolo D’Odorico, Francesco Laio e Luca Ridolfi pubblicano un modello d’altro genere: a lungo termine, scrivono, il mercato globale incoraggia un uso spensierato dell’acqua, i consumatori che eccedono il loro “budget” locale possono sempre comprare cibo ottenuto con il budget di altri paesi. E questo rende le società meno resistenti alle siccità e alle carestie, come si vede dai prezzi raggiunti dai cereali dopo la siccità in Russia e in Ucraina, e le alluvioni in Pakistan e negli Stati Uniti. Un punto di vista opposto è quello del settimanale The Economist: nel commercio internazionale infatti, stando alla teoria economica prevalente il possesso dell’acqua è un vantaggio comparato del quale approfittare.