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Quando la morte arriva dall’alto


Che gli aerei inquinino si sa, ma ora, per la prima volta, uno studio rivela l’impatto sulla salute umana

AMBIENTE – Ottomila morti all’anno. A tanto arriva la stima dei decessi causati dalle emissioni degli aerei che volano sopra le nostre teste (molto sopra le nostre teste), a un’altitudine di oltre diecimila metri. Il dato inquietante è il risultato di uno studio dell’MIT, il Massachusetts Institute of Technology, in partnership con l’AiR Transportation Noise and Emissions Reduction e pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science and Technology.

È la prima volta che si effettua una stima delle morti premature attribuibili alle emissioni degli aeri in quota. I velivoli, infatti, emettono ossido d’azoto e di zolfo, che reagendo con altri gas esistenti in atmosfera formano piccolissime particelle nocive, le cosiddette “polveri sottili”. Il danno per gli umani avviene quando queste particelle vengono inalate, provocando danni respiratori e cardiovascolari, oltre che a favorire il cancro ai polmoni.

Un aeroplano che viaggia a un’altitudine di crociera di circa dodicimila metri potrebbe minacciare la salute delle persone a terra, secondo un nuovo studio dell’MIT, in partnership con l’AiR Transportation Noise and Emissions Reduction, che suggerisce che le emissioni degli aerei causano circa ottomila morti all’anno, e quasi la metà avviene sopra la Cina e l’India.

Solitamente sentiamo parlare di inquinamento simile derivante dalle automobili, soprattutto, ma esistono rilevazioni, normative e azioni legali per limitare i danni, come per esempio la circolazione a targhe alterne, o la chiusura dei centri. E gli aerei? Il problema è che le attuali norme a livello globale sulle emissioni dei velivoli tengono in considerazione solo lo spazio entro i mille metri di quota. Quindi, anche se il 90% del combustibile degli aerei viene bruciato alle elevate quote di crociera, soltanto l’inquinamento emesso durante il decollo e l’atterraggio rientra nei parametri legislativi.

Secondo Steven Barret, uno degli autori della ricerca e docente di Aeronautica all’MIT, lo studio dovrà necessariamente stimolare una revisione del sistema normativo internazionale riguardante questo tipo di emissioni.

Barret e colleghi hanno usato un modello che combina le traiettorie degli aeroplani, la quantità di carburante bruciato durante i voli e le emissioni stimate. Hanno poi combinato il tutto con ulteriori modelli che tengono conto della circolazione dell’aria in atmosfera nelle diversi parti del globo e gli effetti delle emissioni. Infine i ricercatori hanno considerato i dati relativi alla densità di popolazione e al rischio di malattie nelle diverse parti del mondo, per determinare in che modo gli inquinanti dell’aria incidano sulla mortalità.

Le analisi di questi dati hanno rivelato che le emissioni sopra l’America settentrionale e l’Europa hanno un diverso impatto rispetto all’India e alla Cina. Nonostante la quantità di carburante bruciato nell’area asiatica corrisponda solo al 10% della globalità, i due paesi riportano quasi la metà (circa 3.500) delle morti annuali associate alle emissioni dei velivoli. Una delle principali cause sarebbe dovuta all’alta densità della popolazione e all’alta concentrazione di ammoniaca in atmosfera, provocata dalle attività agricole e industriali, che aumenterebbe la nocività degli inquinanti dei velivoli.

Le analisi hanno anche rivelato che, a differenza dell’emisfero settentrionale, quello meridionale è quasi immune a questa macabra conta, proprio per il fatto che la maggior parte del traffico avviene nell’emisfero Nord.

Finanziato dal Consiglio delle Ricerche inglese con il contributo del Ministero dei Trasporti statunitense, lo studio raccomanda che il livello delle emissioni sia “esplicitamente riconsiderato” dai governi internazionali, per regolare adeguatamente la produzione di carburante e dei motori degli aerei.

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