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Il clima e il pane

In una ricerca su Science del 4 febbraio, Ulf Büntgen e altri ricercatori ricostruiscono il tempo estivo nell’Europa centrale durante gli ultimi 2.500 anni. Lo confrontano con gli eventi storici dello stesso periodo e invitano a tenerne conto nel prendere decisioni collettive. Sempre che si vogliano prendere

IL CORRIERE DELLA SERRA – Ulf Büntgen e i suoi colleghi di università svizzere, tedesche e americane, hanno utilizzato gli anelli degli alberi per stabilire le variazioni delle temperature e delle precipitazioni estive. Poi le hanno confrontate con le cronache di carestie, migrazioni, invasioni, conflitti, come fanno gli storici, per cercare di capire se è possibile “distinguere gli impatti ambientali da quelli antropici sulle diverse civiltà”.  Distinguere non è facile

il paragone tra variabilità climatica e storia umana vieta qualunque determinazione causale semplice e altri co-fattori, per esempio di  stress  socio-culturale, vanno presi in considerazione in questo gioco complesso tra le parti.

Ma ricordare il passato può servire perché

La recente riluttanza politica e fiscale a mitigare il cambiamento climatico previsto potrebbe essere contrastata da circostanze storiche.

Gli autori accennano a qualche “circostanza”: l’emigrazione, l’aumento del numero dei profughi,  la riluttanza ad accoglierli, raccolti distrutti se piove troppo o troppo poco. Ne parlavano anche politici, industriali, economisti, responsabili delle agenzie delle Nazioni Unite al Forum mondiale di Davos. Senza decidere nulla, eppure sanno che

– il prezzo degli alimenti di base ha addirittura superato quello del gennaio 2008;

– dal 1999 le “rivolte per il pane” si succedono in Tunisia, altri paesi del Maghreb, Egitto, India, Sud-est asiatico, America latina ecc.

– la variabilità del clima aumenta come previsto insieme alla frequenza e all’intensità degli “eventi estremi”: ondate di calore, siccità, alluvioni ecc.

– continuano a diminuire i fondi internazionali contro la fame nel mondo, perché deve pensarci “il mercato”;

– dopo la campagna delle Ong, e un’altra serie di rivolte, al G8 dell’Aquila i governi hanno promesso 1,5 miliardi di dollari, quanto investe la fondazione Gates in un anno per combattere la denutrizione;

– finora i governi hanno versato meno di 100 milioni, anche se per colpa di “eventi estremi” peggiori di quelli del 1998, 2003, 2005, 2007, la resa delle colture per l’alimentazione umana e animale calava nei principali paesi esportatori: Stati Uniti, Canada, Russia, Pakistan, India, Brasile, Australia.

Meglio non leggere articoli scientifici, costringono a guardare in faccia la civiltà e viene il magone (1).

Fonti: The EconomistBloombergMarket Watch, Fondazione GatesWorld Food Program, Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, Action Aid.

(1) Poi mi passa, sono di Action Aid. A proposito, ricordo che c’è un (piccolo, ma…) premio per una tesi di laurea e una di dottorato sulla lotta alla povertà, fate passare?

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