Cose utili da sapere su contaminazioni e decontaminazioni radioattive
SALUTE – La centrale di Fukushima era stata costruita per resistere a onde alte 5,7 metri. Certamente nessuno si aspettava che uno tsunami avrebbe provocato l’arrivo di onde alte quasi 20 metri.
In questi giorni il Giappone fa la conta delle vittime dello tsunami e del terremoto, ma quello che più preoccupa è la situazione dell’incidente nucleare che ha causato la fuoriuscita di materiale radioattivo. La priorità assoluta è di limitare i danni e fermare l’emergenza.
Per capire quali sono i reali rischi (allo stato attuale dello conoscenze) per la salute e quali sono le misure di decontaminazione che vengono attuate per limitare i danni abbiamo contattato Adolfo Esposito, Direttore del Servizio di Protezione dalle Radiazioni dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
Quali sono i rischi attuali per chi vive nelle vicinanze della centrale di Fukushima?
Per le persone che si trovano oltre i 30 chilometri di distanza apparentemente i rischi non sono elevati per la salute, tenuto conto delle concentrazioni di Cesio-137 e Iodio-131 riscontrate nell’acqua e negli alimenti.
Al momento questi sono i nuclidi che sono stati misurati, ma in futuro le autorità dovranno senz’altro valutare anche altri radionuclidi che sono importanti per la salute degli abitanti. Dai dati che in questo momento si possono rinvenire sui siti ufficiali giapponesi, sembrerebbe che solo in alcune zone si siano alzati i livelli di radioattività nell’acqua e negli alimenti.
Com’è possibile determinare con precisione questa zona di sicurezza?
Questo viene determinato sulla base di criteri di risposta alle emergenze nucleari. Si misurano i livelli di concentrazioni di contaminanti nell’aria e al suolo e sulla base di questi dati, viene delimitata l’area. Anche l’International Atomic Energy Agency (IAEA), in una pubblicazione approvata seppur ancora in fase di correzione tipografica, ma della quale esistono delle versioni precedenti, stabilisce quelli che sono gli Operational Intervention Levels, secondo i quali si attuano le procedure di emergenza. Detti livelli sono strettamente correlati con le deposizioni al suolo e le loro concentrazioni.
I giapponesi stanno applicando un protocollo già largamente utilizzato e tra l’altro loro sono più conservativi del protocollo dell’IAEA e dei regolamenti europei.
Come si misura la radioattività?
Ci sono svariati strumenti per misurare la concentrazione dei radionuclidi nelle varie matrici, come l’aria, l’acqua e gli alimenti. Principalmente viene usato uno spettrometro gamma in quanto abile a fornire anche indicazioni sul tipo di contaminante.
Ci sono due tipi di contaminazione e quindi d’irraggiamento: quella interna (che provoca un irraggiamento interno) e quello esterna (che provoca un irraggiamento esterno). Al passaggio della nuvola radioattiva di Iodio-131 o di Cesio, siamo irraggiati in due modi diversi: con le particelle che ci attraversano il corpo (come quando facciamo una lastra o una Tac o una qualsiasi analisi con i raggi x), oppure inalando e ingerendo il materiale radioattivo (ad esempio respirando, bevendo o mangiando). Al passaggio della nuvola è raccomandato chiudersi in casa, stare lontano dalle finestre, prendere al momento giusto le pillole di Ioduro di potassio, quest’ultima cosa allo scopo di evitare dosi alla tiroide. L’International Commission on Radiological Protection (ICRP) continua a raccomandare che durante le emergenze i livelli di riferimento per la popolazione generale rimangano nella fascia tra 20 milliSievert(mSv) e 100 mSv.
Allo stato attuale delle conoscenze, con i numeri che sono stati comunicati dalla prefetture giapponesi, sul sito dell’agenzia di Vienna, dell’OMS e dall’ISPRA (anche se è vero che la fonte dei dati è sempre la stessa), non sembrerebbe esserci un problema grave di alimentazione. Talvolta i giornali utilizzano espressioni o titoli che non informano correttamente sulla gravità di quello che sta accadendo. Di certo i 400 mSv/ora, di cui si è letto è un valore elevato, molto elevato. Per capire questo dato, basti pensare che una terapia per la cura di un tumore viene effettuata con almeno una decina di Sievert frazionati nel tempo. Con un valore di 400 mSv/ora si potrebbe ricevere velocemente nel giro di una sola giornata a una dose da terapia.
In realtà adesso nella sala controllo dei reattori ci sono circa 2 mSv/ora, che sicuramente è un valore elevato, ma in caso di emergenza ci si sta e si fa il lavoro. Le persone che stanno intervenendo intorno alla centrale sono persone che utilizzano un autorespiratore in modo tale che la maggior parte dei contaminanti vengono assorbiti dai filtri di carbone attivo. L’ICRP continua a raccomandare per i lavoratori coinvolti nelle operazioni di gestione dell’emergenza un intervallo di riferimento da 500 a 1000 mSv, allo scopo di evitare severi effetti deterministici.
Ai tempi di Chernobyl furono impegnati 600mila liquidatori, proprio per evitare che assumessero dosi troppo elevate. La loro dose media ricevuta fu 100mSv.
Come rapportiamo questi numeri rispetto alla dose annuale che prendiamo noi in Italia?
La dose efficace che riceve ciascun individuo è di 2,4 mSv per anno, soltanto per la radioattività naturale e si arriva a 3 mSv per anno se includiamo anche tutte le sorgenti antropiche di radiazione (esami medici principalmente). Questo in un anno.
In un periodo di emergenza le normative dicono appunto che la popolazione non deve ricevere più di 100 mSv. Quando passa l’emergenza si devono abbassare questi limiti mettendo in atto azioni specifiche di pulizia. A Chernobyl è stata raschiata una parte della terra superficiale che è stata poi accumulata nella zona della centrale, per confinare la radioattività ed evitare si spargesse nell’atmosfera ed entrasse nella catena alimentare.
La reale contaminazione degli individui in seguito a un rilascio radioattivo avviene attraverso due o tre sistemi di introduzione. Le piogge provocano la ricaduta al suolo dei contaminanti presenti nella nube radioattiva, le piante assorbono i contaminanti, gli animali mangiano le piante e l’ingestione della carne e delle piante provoca l’assorbimento dei nuclidi, seguendo la catena alimentare. Senza parlare dell’inalazione e dell’ingestione di acqua. I giapponesi avranno forse dei problemi nel caso di una contaminazione della zona marina, visto che la loro alimentazione è incentrata sul pesce.
Il danneggiamento dell’individuo è in funzione delle dosi che riceve, quindi bisogna fare in modo che queste siano il più basse possibili.
Poi vanno distinti sempre quelli che sono gli effetti deterministici (che sono tutti quegli effetti per i quali c’è una causa e c’è un effetto) e gli effetti che sono stocastici, statistici (in cui è difficile stabilire il rapporto diretto con la fonte di esposizione). L’individuo che si espone non necessariamente svilupperà un tumore, ma c’è solamente una fattore di rischio statistico che nel caso degli individui della popolazione è 5 per 100.000 per mSv accumulato). Questo significa che se 100.000 persone ricevessero una dose efficace pari a 1 mSv solo 5 persone potrebbero sviluppare un tumore negli anni successivi. Nel primo periodo di gestione di un incidente nucleare si cerca di ridurre al massimo gli effetti deterministici. Severi effetti deterministici capaci di portare alla morte nel giro di pochi giorni si hanno solo se il personale coinvolto nelle operazioni di gestione di un incidente è irradiato da dosi elevate. E questo potrebbe essere solo il caso di qualche lavoratore interno alla centrale. Attualmente come già detto nella sala controllo dei reattori si misura una radioattività di circa 2 mSv/ora, un valore sicuramente elevato, ma accettabile in caso di emergenza.
Quali sono le procedure da adottare per ridurre la contaminazione?
Per le verdure a foglia larga, se vengono lavate e cotte (senza ingerire l’acqua), già viene tolta una grossa parte dello Iodio e del Cesio.
Dobbiamo ricordare che lo Iodio 131 ha un tempo di dimezzamento di 8 giorni circa, per cui, se non ci saranno ulteriori immissioni nell’atmosfera, la contaminazione scomparirà nel giro di due o tre mesi.
Bisogna anche tener conto che per contrastare gli effetti dello Iodio radioattivo le autorità hanno distribuito alla popolazione le pillole di ioduro, che, saturando completamente la tiroide, limita la dose di Iodio radioattivo assorbito, che si concentra proprio a livello di quest’organo. La somministrazione è stata fatta nei giorni immediatamente successivi ed entro un’area di 20 chilometri dalla centrale nucleare. Tra 20 e 30 chilometri non le hanno ancora somministrate, almeno a quanto dicono ufficialmente e oltre i 30 chilometri non c’è motivo.
Vorrei ricordare che con le scintigrafie un paziente riceve delle dosi incommensurabili di Iodio radioattivo, rispetto a quelle che stanno fuoriuscendo dalla centrale di Fukushima.
I vestiti si possono lavare e dopo un lavaggio in lavatrice si possono indossare, dopo averli controllati. Si sono viste le fotografie dal Giappone in cui c’era un ragazzino tutto nudo sul quale stavano misurando le radiazioni, per verificare la contaminazione superficiale. Nel caso avesse avuto una contaminazione l’avrebbero lavato risolvendo il problema. In questi casi è opportuno lavarsi sempre le mani e il viso, cercando di stare all’interno.
Ha senso misurare la radioattività dei cittadini che escono dal Giappone? Dobbiamo preoccuparci anche di questo?
Le persone potrebbero essersi contaminate. Se qualcuno si fosse trovato nella zona dove c’è stata la ricaduta, il cosiddetto fall out radioattivo, si sarebbe potuto depositare sui vestiti (al momento un po’ di cesio e/o di iodio). All’Ospedale di Careggi di Firenze, secondo le notizie di stampa, sono stati misurati livelli contaminazione sui membri del Maggio Fiorentino al rientro in Italia. Sono state trovate delle tracce di iodio 131, ma questo non è un problema. Vale la pena far presente che le misure fai da te non possono dare alcuna garanzia di sicurezza. Ogni tipo di radiazione ha in genere uno strumento appropriato per la sua misura. L’uso di contatori acquistati al mercato possono essere fuorvianti. Non si possono fare misure improvvisate, ci vogliono gli strumenti adatti e sufficientemente sensibili a rilevare i valori in esame nonché personale esperto e addestrato.
Nei prossimi dieci anni cosa ci dobbiamo aspettare?
Se i tecnici riusciranno ad attivare tutte le alimentazioni elettriche e non si romperà nessun involucro dei reattori, nei prossimi anni la situazione non sarà troppo grave. Rimarrà una zona di rispetto di 20-30 chilometri intorno alla centrale, che verrà senz’altro decontaminata. Come nel caso di Chernobyl, la terra verrà raschiata e richiusa in appositi contenitori di calcestruzzo, per impedire il contatto con l’acqua. Dalle misure fatte dal mio gruppo nell’area frascatana dopo l’incidente del 1986 già a 30-40 centimetri di profondità non c’erano più tracce di radioattività, quindi se la terra non viene arata non c’è il rischio che il cesio si sparga. Ovviamente questa penetrazione dipende anche da quanta acqua è caduta sul suolo e dal tipo di composizione del suolo stesso.
Il problema principale è infatti di evitare che questi contaminanti entrino nel circolo biologico.