Identificato in Antartide un virus che prolifera a spese di altri virus, e che per questo ha un importante ruolo nell’ecosistema
NOTIZIE – Dopo il fuoco di paglia del batterio all’arsenico Made in NASA ecco quella che, al contrario, sembra essere una scoperta veramente rivoluzionaria nella microbiologia. Un team di ricercatori australiani analizzando i genomi estratti da campioni prelevati all’Organic Lake, un bacino ipersalino in Antartide, ha scoperto un virofago, cioè un virus che vive a spese di un altro virus.
Per riprodursi un normale virus, ad esempio un batteriofago, infetta le cellule procariote per sfruttarne il metabolismo, fino alla lisi della capsula batterica che libera all’esterno i nuovi fagi. Questo processo libera anche frammenti di genoma batterico che hanno integrato pezzi di genoma virale e da questi è possibile accorgersi dell’infezione con i mezzi della biologia molecolare.
Con i virofagi il processo è analogo, cioè sono visibili nel genoma del virus parassitato le cicatrici dell’attacco del virus parassita. Per quale motivo, però, a un virus dovrebbe interessare un altro virus, visto che entrambi sono privi di metabolismo?
OLV (Organic Lake Virophage) ha bisogno sì di un altro virus, ma anche dell’organismo da questi parassitato. In questo caso abbiamo i virus della famiglia Phycodnaviridae che attaccano le alghe verdi (famiglia Prasinoficeae). Quando OLV infetta un’alga, non riesce a riprodursi molto bene, ma quando la stessa alga è infettata dal Phycodnavirus, OLV riesce a sfruttarlo per replicarsi, causandone infine la morte, e questo senza uccidere l’alga. Alla parola “morte” i puristi storceranno il naso, visto che accademicamente i virus non sono considerati esseri viventi, ma secondo alcuni se i virus possono ammalarsi per via di altri virus questo è sufficiente per includerli tra i viventi, o almeno collocarli più vicini alla linea di demarcazione tra vita e non-vita (che già di per sé è piuttosto arbitraria).
Il primo virofago, noto come Sputnik (a suggerire che è un virus “satellite”), è stato identificato nel 2008 da campioni provenienti da una torre di raffreddamento a Parigi dove infettava il mimivurus APMV (nella foto) a sua volta parassita dell’ameba Acanthamoeba polyphaga, ma dei tre virofagi scoperti finora OLV è il primo di cui è stato studiato il ruolo ecologico in un ambiente naturale: il modello matematico elaborato dai ricercatori e appena pubblicato su Pnas, indica che senza il virofago le alghe sarebbero decimate dai phycodnavirus, compromettendo la produzione primaria del lago su cui l’ecosistema è modulato.
Un altro recentissimo studio (Science) sull’ultimo dei virofagi di cui siamo a conoscenza (i microbiologi sono concordi nel ritenere che ce ne siano molti altri) si è concentrato invece sul ruolo evolutivo. Sappiamo già che i virus possono contribuire in maniera rilevante a plasmare i genomi degli (altri) esseri viventi ma ora nel quadro bisogna inserire questi parassiti satellite. Lo studio indica che gli antenati del virofago Mavirus (parassita di Cafeteria roenbergensis virus che a sua volta infetta Cafeteria roenbergensis, un protista presente plancton marino) potrebbero essere all’origine di alcuni trasposoni degli eucarioti. Questo prospettiva è spiazzante, dal momento che i trasposoni sono elementi mobili del DNA che contribuiscono alla variabilità del genoma e, quindi, influenzare l’evoluzione dell’enorme gruppo degli Eukaryota, di cui l’uomo fa parte.