Fisici del Lawrence Berkeley National Laboratory, in California, hanno realizzato un nuovo materiale il cui stato magnetico può essere attivato o rimosso in laboratorio tramite un campo elettrico esterno. Si tratta di una particolare ceramica semiconduttrice, la ferrite di bismuto. La scoperta potrebbe costituire un importante passo avanti verso la realizzazione dei primi dispositivi spintronici.
LA VOCE DEL MASTER – La spintronica è una branca sperimentale dell’elettronica che si propone di archiviare le informazioni digitali non più tramite dispositivi a memoria magnetica, ma basandosi su una delle più note grandezze della fisica quantistica: lo spin. Nel caso dell’elettrone, lo spin può infatti assumere unicamente i valori +½ o -½: un eloquente invito ad impiegarlo per codificare informazioni, in analogia ai bit 0 e 1 del codice binario.
È noto che in una determinata classe di materiali, detti ferromagnetici, lo spin degli elettroni può essere modificato dall’esterno, applicando un campo magnetico. Alla rimozione del campo, i nuovi valori di spin si conservano: in altre parole, le informazioni codificate rimangono saldamente memorizzate, senza bisogno di alimentazione e senza i rischi di smagnetizzazione che affliggono i tradizionali hard disk.
Nella pratica, però, manipolare un campo magnetico può rivelarsi problematico. Nell’elettronica moderna i campi magnetici vengono infatti generati facendo fluire corrente elettrica in un elettromagnete: un serio ostacolo alla progressiva miniaturizzazione dei dispositivi elettrici, perché le correnti elettriche comportano necessariamente la produzione di calore in eccesso, difficile da dissipare.
Il gruppo del Berkeley Lab, guidato da Qing He e Ramamoorthy Ramesh, ha preso in esame un particolare semiconduttore ferromagnetico, la ferrite di bismuto (BiFeO3).
Il principale difetto della BiFeO3, ai fini della spintronica, è la sua ridotta magnetizzazione spontanea in assenza di campi magnetici esterni. Nel loro ultimo articolo, pubblicato l’8 marzo scorso su Nature Communications, He e colleghi hanno tuttavia annunciato di essere riusciti ad aumentare la magnetizzazione spontanea della BiFeO3 di quasi 10 volte; inoltre, hanno mostrato come è possibile attivare o disattivare tale magnetizzazione attraverso l’applicazione di un campo elettrico, assai meno problematico di un campo magnetico.
I due traguardi sono stati raggiunti modificando in maniera innovativa la struttura cristallina della BiFeO3. Nella sua forma tradizionale, la BiFeO3 è infatti un cristallo piuttosto semplice, costituito da una griglia regolare di celle a forma di romboedro (vale a dire un parallelepipedo con gli spigoli uguali). Già nel 2009, però, il gruppo di He e Ramesh aveva rilevato particolari proprietà elettriche in seguito a una compressione del cristallo, che aveva generato una struttura mista romboedrica-tetragonale. Le ultime scoperte sono state rese possibili da una piccola alterazione di tale procedimento di compressione: sono state infatti realizzate sottili pellicole di BiFeO3, al cui interno le celle romboedriche, minoritarie, sono raggruppate in regioni isolate fra loro e circondate dalle più numerose celle tetragonali. Queste regioni di celle romboedriche sono le responsabili del forte incremento della magnetizzazione spontanea (da 6 a 30-40 unità elettromagnetiche per centimetro cubo).
He, Ramesh e colleghi hanno inoltre osservato che tale magnetizzazione ‘potenziata’ può essere regolata utilizzando un campo elettrico esterno, dunque senza flussi di corrente e senza produzione di calore in eccesso.
Il passo successivo sarà ora quello di verificare le potenzialità pratiche e i limiti della nuova variante della ferrite di bismuto, realizzando i primi dispositivi reali che ne facciano uso.