E’ primavera, sbocciano i fiori e i matematici si mettono al lavoro. Producendo, per esempio, un’accurata descrizione formale della fioritura dei gigli che potrebbe rivelarsi utile anche per lo sviluppo di nuovi materiali.
CRONACA – L. Mahadevan colpisce ancora. Da anni, questo ingegnere specializzato in matematica con una passione per la fisica macroscopica e per la biologia, docente di matematica applicata all’Università di Harvard, si diverte e scoprire e a descrivere la fisica e la matematica che stanno dietro a fenomeni quotidiani spesso banali, ma tutto sommato poco conosciuti dal punto di vista scientifico. Per esempio l’aggraziato sventolio di una bandiera al vento, oppure la tendenza dei cereali nel latte del mattino ad aggregarsi o ad appiccicarsi alle pareti della tazza. O, ancora, la progressiva formazione di rughe sulle mele che avvizziscono (descrizione che gli è valsa il premio IgNobel nel 1997) o i rapidi movimenti della dionea, una pianta carnivora. Ebbene, l’ultima fatica riguarda i gigli, e in particolare il meccanismo della fioritura .
In poesia, in pittura, perfino nel linguaggio comune i riferimenti al fiore del giglio, simbolo di purezza, si sprecano. Ma ci volevano Mahadevan e il suo collaboratore Haiyi Liang, ora all’Università di Hefei, in Cina, per indagare a fondo i processi fisici che rendono possibile tanta meraviglia. Per prima cosa, i due ricercatori hanno osservato bene tutto il processo di fioritura del Lilium casablanca, aiutati da una telecamera ad alta velocità. Punto di partenza, ovviamente, il bocciolo, costituito da tre petali interni e tre sepali esterni (in realtà qui si aprirebbe una questione di “lana caprina botanica”, visto che formalmente bisognerebbe parlare di tepali, ma per capirci seguiamo pure la terminologia semplificata di Mahadevan e Liang).
A un certo punto, il bocciolo si apre. Già, ma come? “Per altri tipi di fiori sono state proposte due spiegazioni principali”, spiegano gli autori dalle pagine della rivista Pnas. “L’apertura dei petali può essere guidata da una crescita differenziale delle superfici superiori e inferiori dei petali stessi: una cresce di più e l’altra di meno e la tensione che si crea spinge il petalo all’esterno. Un’altra spiegazione chiama in causa la nervatura centrale che corre lungo il petalo; anche in questo caso, la nervatura crescerebbe più rapidamente del resto del petalo, spingendolo all’infuori”. Osservando il processo al rallentatore e allestendo alcuni esperimenti (consistenti, per esempio, nell’eliminare la nervatura centrale dai petali e sepali dei loro fiori), Mahadevan e Liang hanno scoperto che questi due meccanismi rivestono nel giglio solo minimi ruoli. In gioco, invece, c’è altro, e per la precisione la crescita differenziale (più veloce) dei bordi dei petali. Poiché crescono più velocemente del resto della lamina che costituisce il petalo, tendono ad arricciarsi, e questo crea la tensione necessaria a far sbocciare il fiore.
In un secondo momento, i ricercatori hanno descritto il meccanismo con formule matematiche, sottolineando che si tratta dello stesso meccanismo osservato anche alla base della forma di foglie allungate, che infatti presentano bordi leggermente ondulati. “Un’ulteriore conferma”, commenta Liang “dell’analogia fisiologica che esiste tra foglie e fiori, e del fatto che questi ultimi non sono altro che foglie modificate, come aveva intuito già Goethe, descrivendo il fenomeno in un breve trattato dedicato alla metamorfosi delle piante”. Il lavoro di Mahadevan e Liang non è solo, come dicono gli autori, un “tentativo di infondere un’estetica scientifica in un oggetto che è già rappresentazione di bellezza”, ma potrebbe anche avere ricadute pratiche nell’ambito di approcci ingegneristici di tipo biomimetico. “Per esempio”, racconta Liang, “nell’ambito della progettazione di sensori ambientali costituiti da film sottili di nuovi materiali in grado di modificare la propria forma solo alle estremità, come fanno i petali del giglio”.