NOTIZIE – Per comprendere la salute e i meccanismi che provocano le malattie in età infantile (non infettive e non collegate a recenti “discrepanze” fra l’ambiente in cui viviamo e il nostro fenotipo) è necessario assumere una prospettiva evolutiva esaminando a fondo i conflitti genetici (fra genitori e figli e fra i genitori stessi), come spiega Bernard Crespi in un articolo sui Proceedings on the Royal Society B.
L’essere umano infatti si riproduce sessualmente e investe notevoli energie nella cura della prole (prole che passa un lungo periodo in una fase pre-adulta). In questo panorama, dal punto di vista selettivo, si evidenziano notevoli conflitti fra i diversi attori in gioco. Esiste un conflitto (che si esprime a livello genetico) fra il bambino e genitori (in particolare la madre): l’evoluzione privilegerebbe da un lato bambini con geni che esprimono comportamenti che spingono a massimizzare la cura materna, dall’altro madri con geni che esprimono comportamenti che tenderebbero a ridurre questa richiesta (quanto più possibile senza compromettere la sopravvivenza della prole).
Il secondo tipo di conflitto genetico (che in inglese è noto col nome di “intragenomic imprinting”) è invece fra la madre e il padre, (e ha sempre come oggetto le richieste di investimento da parte del figlio): la selezione favorisce padri in grado di “silenziare” (nel corredo genetico dei figli) quei geni che tendono a ridurre le richieste del figlio verso la madre (cioè tedono a fare figli piuttosto “impegnativi”), ma anche le madri che riescono a silenziare nel corredo genetico dei figli proprio quei geni che tendono ad aumentare le richieste di investimento da parte delle prole.
In tutto questo caos di forze evolutive che tirano di qui e di lì e che nel tempo provocano cambiamenti nel genoma, insieme ai vantaggi per la specie possono emergere effetti collaterali spiacevoli, nel senso che a farne le spese talvolta può essere la salute (bisogna sempre immaginare l’evoluzione come un processo in divernire, mai perfetto ma che tende sempre al miglior adattamento).
In quest’ottica Bernard Crespi della Simon Fraser University in Canada, ha condotto una rassegna in cui ha analizzato dal punto di vista medico-evolutivo una serie di studi sullo sviluppo e la crescita postnatale dei bambini umani, usando anche ricerche sui roditori e in vitro. Crespi fa notare che la nostra è una specie con un periodo di sviluppo preadulto molto lungo (ma che ha ridotto i tempi dello svezzamento rispetto per esempio ad altri primati come lo scimpanzé).
Questi adattamenti secondo Crespi hanno aumentato certi fattori di rischio per alcune malattie dell’infanzia. Per esempio il cancro, la maggiore causa – escluse le malattie infettive – di morte per malattia nei bambini: secondo le sue osservazioni l’incidenza dei tumori pediatrici riflette i tassi di crescita infantile dalla nascita all’adolescenza, e lo sviluppo del cancro pediatrico è fortemente influenzato dai geni “imprinted” (cioè coinvolti nei processi di silenziamento dovuti al conflitto genetico fra i due genitori) che controllano la crescita del bambino e lo sviluppo dei fenotipi (la conformazione e il funzionamento dell’organismo) tipici di ogni età.
Crespi crede che per questo motivo per comprendere l’origine di certe malattie infantili e per ridurne l’incidenza la ricerca medica debba iniziare a considerare seriamente questa prospettiva evolutiva