NOTIZIE – Della ricerca pubblicata qualche giorno fa su Nature da Michael Dunn e colleghi colpisce soprattutto il metodo utilizzato. Il gruppo di ricerca ha infatti unito in uno sforzo multidiscilplinare la linguistica e la biologia evolutiva, applicando i metodi della seconda sulla prima.
Dunn e colleghi volevano mettere alla prova due degli approcci più in accreditati in linguistica. Da un alto quello generativo degli eredi di Noam Chomski (non perché sia morto, ma nel senso di scuola), secondo il quale esisterebbero degli universali linguistici, cioè delle caratteristiche comuni a tutti i linguaggi alle quali il sistema cognitivo sarebbe perfettaente “accordato”. Dall’altra parte invece ci sarebbe l’approccio statistico (nato, secondo gli autori, da Joseph Greenberg) che va a cercare delle regolarità che correlino entro una data famiglia di linguaggi, per esempio l’ordine delle parole. I due approcci non sono in antitesi, più che altro guardano al problema da prospettive diverse. In ogni caso Dunn e colleghi intendevano testare le due scuole di pensiero, utilizzando però uno strumento nuovo.
Visto che la questione è trovare caratteristiche condivise da lingue che (si suppone) si siano sviluppate le una dalle altre, perché non trattarle – hanno pensato Dunn e colleghi – come tratti evolutivi costruendo alberi geneaologici proprio come si fa con le specie biologiche? Dunn ha dunque deciso di condurre un’analisi filogenetica, in questo caso specifico sull’ordine verbo-soggetto in ogni lingua presa in esame – L’ordine delle parole è uno dei parametri più analizzati dai linguisti.
I risultati non hanno supportato ne una ne l’altra teoria: “tutte le dipendenze funzionali osservate fra i tratti sono specifiche di una discendenza e non universali,” scrivono gli autori. Gli autori hanno sì identificato 19 correlazioni forti fra gli ordini verbo-soggetto caratteristici, ma nessuno di questi appariva in tutte e quattro le famiglie di linguaggi esaminate (una sola appariva in più di due famiglie). Dunn e colleghi hanno esaminato infatti 4 famiglie linguistiche: 79 linguaggi indo-europei, 130 austronesiani, 66 bantu e 26 uto-aztechi.
Secondo gli autori i risultati possono essere spiegati, anziché con degli universali, con l’evoluzione culturale. “L’evoluzione culturale è il fattore principale che determina la struttura linguistica, ed è lo stato attuale del sistema linguistico che plasma e indirizza gli stati futuri,” puntualizzano gli autori. Questi dati non demoliscono comunque gli aprocci di Chomski e di Greenberg (sono dati raccolti solo su un singolo parametro), ma l’approccio usato potrà essere in futuro utile per metterle alla prova.