Linguistica e pinguini africani
Uno studio ha mostrato che il pinguino africano segue regole linguistiche finora osservate solo nei primati
Il linguaggio, che ci consente di trasmettere ad altri delle informazioni, non ha nulla di semplice, e il suo studio può essere affrontato sotto molte prospettive diverse: quali segni usa? In che contesto? Com’è cambiato nel tempo? Come trasmette il significato? Ecco perché sono diverse le discipline che si occupano di linguistica; tra queste, la linguistica quantitativa, che indaga, basandosi su metodi statistici, sui modelli universali del linguaggio; in altre parole, le regole che li determinano.
Cosa c’entrano i pinguini con la linguistica? In realtà, parlando di linguaggio non bisogna dimenticare che anche gli animali non umani hanno un proprio modo di comunicare, di trasmettersi informazioni in modo codificato. Sebbene privo delle strutture che caratterizzano quello umano come la sintassi e il lessico, alcuni studi hanno già mostrato come tale linguaggio abbia caratteristiche più simili al nostro di quanto si pensasse in precedenza (ne abbiamo parlato qui). Inoltre, alcune specie di primati, proprio come gli esseri umani, seguono due leggi di particolare importanza della linguistica quantitativa che, in breve, consentono di massimizzare l’efficacia della codifica e contemporaneamente di abbreviare la lunghezza del codice. Ma adesso alla lista vanno aggiunti i pinguini africani che, come ha dimostrato uno studio coordinato dall’Università di Torino e pubblicato su Biology Letters, seguono queste stesse regole nelle vocalizzazioni emesse durante il periodo riproduttivo.
Due leggi per una canzone
Le due leggi indagate dallo studio, supportato dal grant IDEXLYON, sono quella di Zipf e quella di Menzerath-Altmann. La prima postula che gli elementi più frequenti nel linguaggio tendono a essere compressi. È ciò che succede ad esempio nella lingua umana, dove preposizioni e articoli, che utilizziamo spesso, sono rappresentati da termini molto brevi. Secondo la legge di Menzerath-Altmann, invece, la durata dei fonemi – ossia i costituenti del linguaggio – è corta se sono lunghe le costruzioni (le parole). Entrambe le leggi portano, quindi, a massimizzare l’informazione codificata in un messaggio il più breve possibile.
Il linguaggio della nostra specie segue queste due regole, ma sembra non essere l’unico. Anche i gelada (Theropithecus gelada), ad esempio, sembrano conformarsi alla legge di Menzerath-Altmann: nei maschi adulti di questa specie, infatti, le sequenze vocali più lunghe sono associate a richiami più brevi.
Sono però pochi gli studi che hanno indagato la conformità di queste leggi linguistiche in altri gruppi di animali. Questo rende il lavoro condotto sui pinguini africani particolarmente interessante. Da una parte, perché dimostra per la prima volta la conformità alle leggi di Zipf e di Menzerath-Altmann in una specie che non appartiene all’ordine dei primati. Dall’altra, perché ci aiuta a capire come la stessa pressione selettiva che spinge a una compressione dell’informazione negli elementi vocali più usati sia presente non solo in una specie filogeneticamente distante dai primati, ma anche con diverse necessità ecologiche che potrebbero portare ad altre forme di selezione (ad esempio, se la comunicazione deve avvenire su lunghe distanze, vocalizzazioni più lunghe e con un’elevata ampiezza dell’onda sonora).
A, B, C: le sillabe della canzone
Il pinguino africano (Spheniscus demersus), classificato come “in pericolo” dalla IUCN, è un piccolo pinguino che vive in Sudafrica e alcune isole della Namibia. È in grado di emettere diversi tipi di vocalizzazioni; particolarmente interessante è quella denominata ecstatic display song, emessa dai maschi durante il periodo riproduttivo. Nonostante il nome accattivante, non è particolarmente melodiosa. Come spiega Livio Favaro, primo autore dello studio, su UnitoNews: «Le ispirazioni e le espirazioni emesse dai pinguini durante l’ecstatic display song ricordano il ragliare di un asino. Per tale ragione, uno dei soprannomi del pinguino africano è jackass penguin (pinguino asino)».
Questa particolare vocalizzazione ha una caratteristica che la rende interessante: hanno una struttura più articolata rispetto alle altre vocalizzazioni, composta da tre elementi vocali, definiti “sillabe”, distinti. La sillaba di tipo A consiste in un breve suono di espirazione, ed è seguita da sillabe di tipo B, più lunghe e prodotte dall’espirazione dell’aria; la durata e la frequenza di queste ultime sono correlate alla dimensione del pinguino che le emette, per cui potrebbero in qualche modo funzionare per indicare la sua capacità respiratoria alla potenziale partner o agli altri maschi. Infine, le sillabe di tipo C sono d’inspirazione e di durata intermedia tra le due.
Una canzone perfetta, quindi, per capire se anche i pinguini seguono le leggi di Zipf e Menzerath-Altmann: la lunghezza delle sillabe è minore quanto queste sono usate più spesso? E la loro durata diminuisce quando la sequenza vocale è più lunga?
Più lungo, più breve
Per rispondere, i ricercatori hanno analizzato le sequenze vocali delle registrazioni di quasi 600 ecstatic display song, scoprendo così che le sillabe di tipo A, le più brevi, sono ben di più di quelle dei tipi C e B; queste ultime (le più lunghe) sono anche le meno frequenti in assoluto nel canto. Inoltre, le sequenze vocali più lunghe presentavano le sillabe più brevi. In questo modo, i pinguini come i primati sembrano riuscire a fornire la massima informazione senza “sprecare energia” con vocalizzazioni più impegnative, evitando di forzare i limiti imposti dalla fisiologia dall’apparato respiratorio.
Dunque, sono rispettate le leggi della linguistica finora riscontrate solo nei primati. «Attenzione, però: la nostra ricerca è stata condotta solo per questo particolare tipo di vocalizzazione, impiegata per la difesa territoriale e la scelta del partner nella stagione riproduttiva, ma non sulle altre usate dai pinguini», spiega Elena Fumagalli, una delle co-autrici dello studio. «Per le altre vocalizzazioni al momento non sono state fatte ipotesi; non hanno la stessa struttura “sintattica” e quindi non si prestano così bene per l’analisi acustica. Tuttavia, se in futuro dovessero essere analizzate anche le altre vocalizzazioni e si dovesse scoprire che esse non rispettano le leggi, ciò non annullerebbe comunque quanto è emerso dal presente studio: probabilmente significherebbe che l’ecstatic display song rappresenta la vocalizzazione “elettiva” per veicolare le informazioni di interesse».
Pressioni selettive e pattern universali
Uno degli aspetti interessanti di questo studio è che consente di riflettere su come pressioni selettive legate all’ecologiadella specie possano coesistere con pressioni universali, riscontrabili in gruppi di animali ecologicamente distinti tra loro. Pensiamo al pinguino reale (Aptenodytes patagonicus): non nidifica e vive in colonie molto affollate, nelle quali ciascun pinguino vocalizza per richiamare il partner, far sapere dov’è e farsi riconoscere. In questo contesto fortemente rumoroso, spiegano i ricercatori nel loro studio, si applica la “teoria dell’informazione di Shannon”, secondo la quale l’impiego di unità vocali identiche e ripetute aumenta la probabilità che un messaggio sia ricevuto in un ambiente rumoroso. È quanto fanno, in effetti, il pinguino reale e l’imperatore (Aptenodytes forsteri), l’altra specie non nidificante: le display song che emette nelle colone riproduttive sono caratterizzate dalla riproduzione di una parte di una singola sillaba, che produce una ridondanza tra e all’interno delle sillabe stesse.
Tuttavia, il pinguino africano vive in una colonia distribuita in modo completamente diverso, in aree temperate prive del forte vento che altera il segnale acustico, e si costruisce dei nidi che forniscono indizi visivi per il riconoscimento individuale (solo il reale e l’imperatore non hanno il nucleo familiare concentrato intorno al nido e si spostano nella colonia). La selezione naturale avrebbe quindi potuto spingere verso una riduzione della ridondanza del segnale, che rappresenterebbe solo uno spreco energetico; invece, la ripetizione delle sillabe si mantiene.
«Finora, queste leggi erano state osservate solo in sistemi di comunicazione complessi, come quelli della nostra specie e in alcuni primati. I risultati di questo lavoro ci mostrano che esistono dei pattern universali, trasversali ai diversi gruppi di animali e che non dipendono dalla complessità del sistema di comunicazione, che favoriscono la compressione degli elementi vocali più utilizzati per minimizzare la spesa energetica e massimizzare l’efficienza dell’informazione», conclude Fumagalli.
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