VIAGGI – Un guasto tecnico ha rovinato la festa a quanti, centinaia di migliaia di persone, erano accorsi a Cape Canaveral, in Florida, per l’ultimo saluto allo Shuttle Endeavour, alla sua 25esima e ultima corsa verso le stelle, prima di trasformarsi in un pezzo da museo. Si sbaracca, e si torna a casa. Con l’amaro in bocca e la sensazione che, al di là della comprensibile nostalgia per un’era che si chiude dopo 30 anni, sia davvero giunto il momento di mandare in pensione queste macchine complicatissime, enormi e ormai acciaccate che sono gli Space Shuttle statunitensi. Anche l’equipaggio dei sei astronauti, tra cui il nostro Roberto Vittori, fa marcia indietro verso il centro di Houston, in Texas, per riprendere gli allenamenti fisici e recuperare la carica e la concentrazione per la partenza. Una quarantena prolungata fino alla partenza li sfinirebbe.
Intanto, i tecnici sono al lavoro giorno e notte alla rampa di lancio del Kennedy Space Center per risolvere il problema che ha fermato l’Endeavour, ma ci vorrà più delle 72 ore, inizialmente previste, per riparare il danno ai generatori d’energia che ha improvvisamente interrotto il count-down a poche ore dal lancio, fissato inizialmente per venerdì 29 aprile alle 21.47 ora italiana. Il sogno è sfumato mentre i “magnifici sei”, con le tute arancioni già indosso, erano a bordo del van che li stava trasportando verso la rampa di lancio per salire a bordo. La missione STS-134, che avrebbe dovuto portare in orbita anche un pezzo d’Italia, con Vittori e il cacciatore di antimateria AMS, un gioellino realizzato con il preminente contributo di ASI e INFN, è rimandata a data da destinarsi. Non prima comunque di domenica 8 maggio, fa sapere la NASA.
Non è certo la prima volta che un lancio slitta all’ultimo momento: basta un bullone fuori posto o un temporale (frequentissimi sulla costa atlantica). D’altronde, era stato lo stesso Charles Bolden, il capo della NASA, a mettere le mani avanti alla vigilia dell’evento: “Qui a Cape Canaveral siamo famosi per i ritardi nei piani di volo: colpa del tempo o di un imprevisto all’ultimo minuto. Una volta chiesi ai russi della Soyuz: e voi? E quelli: ritardi? Ma quali ritardi: noi si parte comunque sempre, e via”. La NASA, scottata dalle tragedie dello Shuttle Challenger, esploso nel 1986, poco più di 70 secondi dopo lancio uccidendo sette astronauti, e del Columbia, disintegratosi nel 2003 nel rientro a terra con uguale tributo di vittime, non rischia. A costo di giocarsi la gloria del palcoscenico, per un lancio – l’ultimo dell’Endeavour, il penultimo della storica flotta di razzi, seguito dalle telecamere di tutto il mondo. Non c’è da rischiare, neanche se per l’occasione è atteso il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e famiglia, 13 anni dopo l’ultima apparizione di un inquilino della Casa Bianca a un volo dello Shuttle (Obama è andato lo stesso, per incoraggiare gli astronauti e visitare il centro della NASA). Neanche se, per veder volare il marito, il comandante Mark Kelly, era stata eccezionalmente dimessa dall’ospedale Gabrielle Gifford, la deputata democratica viva per miracolo dopo che un colpo di pistola alla testa l’ha gravemente ferita l’8 gennaio scorso in un attentato a Tucson per mano di un pazzoide integralista.
L’imprevisto fa parte della routine dei voli Shuttle, è la regola più che l’eccezione. La NASA è consapevole che il razzo con le ali, simbolo dell’avventura spaziale, il taxi dei cieli, è giunto al capolinea. Partito Endeavour, toccherà allo shuttle Atlantis, in estate, a chiudere il sipario. Non ci sarà un sostituto. Annullato il dispensioso programma Constellation, che prevedeva anche nuove navette per la Stazione spaziale internazionale, la NASA di fatto si ritira dai collegamenti in orbita bassa. Per almeno 4-5 anni, ci saranno solo le capsule russe Soyuz a fare la spola tra la terra e la casa degli astronauti, mentre i cinesi s’affrettano a dotarsi di un loro sistema di trasporto. La NASA invece preferisce affidarsi ai privati, per far quadrare i conti e proseguire l’impresa spaziale. Nei giorni scorsi, l’ente spaziale americano ha affidato commesse per 269 milioni di dollari a quattro imprese: Space X, Boeing, Blu Origin e Sierra Nevada, per lo sviluppo di un missile e una capsula spaziale in grado di portare gli uomini sulla ISS.