CRONACA

Nel labirinto dell’intelligenza

tantometroLe misure del quoziente d’intelligenza (QI) servono a prevedere il successo professionale e sociale? Poco e solo quando se ne accettano i limiti, secondo una ricerca di Angela Lee Duckworth dell’università della Pennsylvania et al. pubblicata sui PNAS.

CRONACA – Il titolo del post è quello di un breve saggio (1) nel quale Hans Magnus Enzensberger invita a diffidare dei punteggi del QI. Per l’intellettuale tedesco, l’intelligenza è sopravalutata, la sua definizione riflette i pregiudizi del momento, i test riflettono finalità spesso inconfessate e  giustificano decisioni moralmente dubbie come quella di negare i diritti civili a interi gruppi sociali. Eppure, scrivono Angela Lee Duckworth e i suoi colleghi

le associazioni predittive tra punteggi di QI e gli esiti successivi sono tipicamente interpretati quali stime imparziali dell’effetto dell’abilità intellettuale sul successo accademico, professionale e nella vita.

Dalla loro ricerca, associazioni e stime sono infondate. Da un lato hanno somministrato test accompagnati o meno da una ricompensa in denaro o in merendina a 2.008 volontari che ne avevano già passato uno simile. Il punteggio aumentava in caso di incentivo, parecchio di più se era già alto in partenza. Dall’altro hanno analizzato i filmati di 508 ragazzini che passavano il test verbalmente all’inizio del Pittsburgh Youth Study nel 1987 e sono stati seguiti regolarmente da allora. I segni di disinteresse e di impazienza erano più frequenti nei ragazzi con un QI basso. Quando se ne teneva conto, il punteggio del QI restava correlato con i risultati scolastici, ma non con la probabilità di condanne penali, di disoccupazione, di frequentazione o meno di un college e di un’università. Conclusione banale, ma cifre alla mano:

ottenere un punteggio elevato per il QI richiede molta intelligenza e molta motivazione. Invece punteggi bassi possono risultare sia da una maggiore intelligenza che da una minore motivazione.

In attesa di un test affidabile del “quoziente di motivazione”, il punteggio medio del QI viene ancora usato da economisti e politici per prevedere lo sviluppo di una generazione e persino di un paese, anche perché nel secolo scorso è sembrato aumentare insieme al prodotto interno lordo.  Non è da buttare, dice Angela Lee Duckworth al contrario di Hans Magnus Enzensberger. Ma va interpretato con cura per rendere esplicite le variabili quantificate implicitamente dal risultato: la qualità dell’educazione ricevuta fino a quel momento a scuola e a casa, la fiducia in sé, la voglia di farcela, l’influenza delle personalità proposte come modelli da imitare, tutte cose che non dipendono dall’intelligenza dei ragazzini comunque la si definisca.

(1) Einaudi, 2008.
Immagine: i-phone.

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