NOTIZIE – Osservando l’attività elettrica del cervello immediatamente prima del risveglio è possibile prevedere la probabilità di ricordare i sogni appena fatti. L’osservazione fatta dal team di Cristina Marzano del Laboratorio di Psicofisiologia del Sonno all’Università La Sapienza di Roma è importante soprattutto perché suggerisce che i meccanismi neurofisiologici di immagazzinamento e recupero dei ricordi episodici potrebbero essere gli stessi in qualsiasi stato di coscienza (veglia o sonno).
Molti scienziati sospettano che l’attività del sognare svolga un ruolo importante nella consolidazione dei ricordi. Da tempo è noto che il cervello processa nel sonno le informazioni acquisite durante la veglia, anche se la precisa funzione dei sogni è ancora incerta. Il nuovo studio pubblicato sul Journal of Neuroscience supporta l’ipotesi di un collegamento fra la fisiologia del sognare a quella del ricordare.
Marzano e colleghi hanno monitorato l’attività elettroencefalografica (EEG) di 65 volontari durante il sonno. I soggetti potevano venire svegliati in due fasi distinte del sonno la fase REM o la nonREM 2. In tutto le fasi del sonno sono 5: una REM e 4 nonREM, ciascuna con una tracciato EEG peculiare. È luogo comune che i sogni avvengano quasi esclusivamente durante la fase REM, che è anche quella che mostra un’attività elettrica cerebrale più simile alla veglia, ma in realtà si sogna (anche se quantitativamente e qualitativamente in maniera diversa) anche nelle altre quattro fasi di sonno profondo.
Appena svegliati i soggetti dovevano compilare una sorta di diario/questionario su quanto appena sognato.
Le osservazioni hanno dimostrato che un’intensa attività theta (le onde theta sono un tipo di oscillazione elettrica caratteristico) nel lobo frontale nei 5 minuti prima del risveglio in fase REM è associata a un’alta probabilità di ricordare i sogni. Nel sonno nonREM 2 invece è una bassa attività alfa (un altro tipo di onda) nel lobo temporale a predire un’alta probabilità di ricordare i sogni.
Secondo gli autori queste osservazioni “integrano quella che dai neuroscienziati viene chiamata l’ipotesi della continuità”, che essenzialmente dice che gli aspetti quantitativi e qualitativi dei sogni riflettono in gran parte le esperienze durante la veglia e che la probabilità che certe esperienze specifiche possono essere successivamente incorporate nei sogni è modulata da molti fattori (coinvolgimento emotivo, tratti di personalità, ora in cui avviene l’esperienza, ecc.).