SALUTE – Usando metodi dell’epigenetica, ricercatori belgi sono riusciti a identificare vari sottotipi di tumori al seno, trovando così nuovi possibili metodi per rilevare e curare la malattia. Il termine epigenetica può spaventare, ma il concetto è in realtà molto semplice: Kathleen T. Ruddy, nel suo blog sul cancro al seno, lo spiega con un’analogia culinaria.
Diamo a cento persone cento copie di un medesimo libro di cucina, e diciamo loro di cucinare un piatto. Alla fine, supponiamo di trovare che ottanta di questi cento aspiranti cuochi abbiano cucinato dolci, e gli altri venti piatti salati.
Passiamo ora ai geni. Questi, continua Ruddy, funzionano come le parole di una ricetta: vengono letti e usati per preparare, invece di piatti, proteine, che vengono poi aggregate per generare i tessuti. Ora, ogni cellula cancerogena del seno contiene un suo ricettario di geni, con cui crea le proteine del cancro al seno. Invece di preparare una cassata o uno strudel, le cellule cancerogene creano recettori di estrogeni, o di progesterone, eccetera. Quando vengono letti i geni, come in una ricetta, si dice che sono espressi. Cosa determina quali ricette sono eseguite? cioè, quali geni sono espressi nelle cellule cancerogene del seno?
Questo è l’argomento dell’epigenetica: precisamente, quali geni sono espressi, come e perché. A controllare l’espressione dei geni ci pensa la metilazione del Dna: questa determina il motivo per cui due tumori apparentemente identici possono essere epigeneticamente diversi. La metilazione, infatti, nasconde chimicamente alcuni geni, non permettendo la costruzione di alcune proteine. I profili di metilazione del Dna, quindi, possono fornire indicazioni sulle differenze epigenetiche tra un tumore e un altro.
Benché i ricercatori fossero già a conoscenza del fatto che l’epigenetica è importante nel cancro, si avevano poche informazioni sul suo esatto contributo al cancro al seno, spiega Sarah Dedeuwaerder, della Libera Università di Bruxelles, Belgio, durante la Conferenza Impakt sul cancro al seno, tenutasi nella capitale belga. La ricercatrice ha pubblicato, insieme ai suoi collaboratori, un articolo coi risultati del suo studio sull’ultimo numero di Annals of Oncology (articolo di cui potete trovare un riassunto qui).
“Il nostro scopo era valutare le differenze epigenetiche tra un tessuto normale e campioni di tumore primario su tutto il genoma”, afferma Dedeuwaerder. “In questo momento, stiamo lavorando per capire come i profili di metilazione del Dna nei tumori al seno possano permetterci di comprendere la loro biologia e la loro diversità. Ciò dovrebbe permettere una gestione migliore dei pazienti affetti da cancro al seno”.
I ricercatori hanno effettuato un profilo di metilazione del Dna su due insiemi indipendenti di campioni di tessuti congelati di seno: un ‘insieme principale’ di 123 campioni, e un ‘insieme di convalida’ di 125 campioni. La prima scoperta è stata che due principali sottotipi di cancro al seno sono controllati in larga misura dall’epigenetica. Il primo gruppo era composto soprattutto da tumori che non esprimevano recettori per l’estrogeno, e il secondo da tumori che ne esprimevano. In generale, i ricercatori hanno mostrato che i profili di metilazione del Dna permettevano una classificazione dei tumori al seno in più gruppi di quelli attualmente identificati.
“Questo è sicuramente l’aspetto più interessante che emerge dai nostri dati”, sostiene Dedeuwaerder. “Infatti, pazienti che mostrano lo stesso sottotipo noto di cancro possono rispondere in maniera differente a un dato farmaco. Una differenza epigenetica tra i tumori di questi pazienti potrebbe spiegare la differenza osservata in termini di risposta alla cura. Perciò, i profili di metilazione del Dna potrebbero aiutarci ad affinare la classificazione attuale dei cancri al seno, e quindi aiutarci a classificare i pazienti con un particolare sottotipo tanto in termini di prognosi quanto di predizione della risposta alla cura”.
“È concepibile una terapia epigenetica del cancro, da sola o in combinazione con terapie convenzionali. Sono stati già sviluppati diversi farmaci a questo scopo, e le sperimentazioni cliniche hanno mostrato risultati promettenti, in particolare per la leucemia, il ‘tumore del sangue’ “, conclude Dedeuwaerder.