SALUTE

Cellulari e tumori: storia di un rischio annunciato e mai dimostrato

L’ultimo allarme arriva dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms: le radiofrequenze dei telefonini forse sono cancerogene. Come il caffè e i sottaceti. Davvero?

SALUTE – Partiamo dai fatti. Il 31 maggio, a Lione (Francia), un panel di esperti di 14 paesi è riunito per discutere il potenziale rischio cancerogeno dei campi elettromagnetici a radiofrequenze. Al termine dei lavori, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità emette un comunicato stampa. Si legge: le radiofrequenze associate ai cellulari “sono potenzialmente cancerogene per gli essere umani”. La definizione comporta l’ingresso ufficiale dei telefonini nel gruppo 2B, una lunga lista nella quale figurano 266 agenti (nella classe A ci sono le sostanze cancerogene accertate, in quella 2A quelle probabilmente cancerogene, in quella 2B quelle possibilmente cancerogene). Significa che smartphone e cellulari, forse, fanno un po’ male, come caffè e sottaceti (questa sì che è una sorpresa!), ma anche pesticidi e benzina, nella stessa categoria. La nuova classificazione è sicuramente una notizia, considerando che finora i cellulari non erano mai stati “schedati” e soprattutto tenendo conto dell’autorevolezza della fonte. Vanno chiarite però parecchie cose.

Innanzitutto, la valutazione della Iarc non è basata su nuovi dati. Si tratta di una revisione della letteratura (nel comunicato stampa non si specificano i dettagli, si rimanda alla monografia Volume 102 di prossima pubblicazione, e all’anticipazione su Lancet Oncology il primo luglio). L’analisi ha riesaminato centinaia di articoli scientifici pubblicati negli ultimi anni (studi su cellule, animali e persone), per stabilire una relazione di “causa-effetto” tra la comparsa di forme tumorali e tre tipi di sorgenti elettromagnetiche: radar e microonde (esposizione occupazionale); radio, tv e altri dispositivi wireless (esposizione ambientale); telefonia mobile (esposizione personale). Mentre nei primi due casi non sono emerse prove sufficienti, nel caso dei telefonini l’evidenza è stata giudicata “limitata”, per quanto riguarda il glioma (una rara forma di tumore maligno al cervello) e il neurinoma acustico (il tumore del nervo uditivo). Per tutti gli altri tipi di tumore (leucemie e linfomi sono tra questi) l’evidenza è “inadeguata” per trarre conclusioni. Che cosa significa? Che “potrebbe esserci qualche rischio e dobbiamo continuare a monitorare con attenzione il link tra cellulari e rischio di tumori”, ha detto Jonathan Samet, della University of Southern California, che ha presieduto i lavori a Lione. Insomma, servono ulteriori studi. Nel frattempo, meglio adottare misure precauzionali, preferendo l’uso degli auricolari o gli sms alle lunghe conversazioni all’orecchio. Ma non lo sapevamo già?

Mentre le associazioni di consumatori si scatenano (il Codacons propone una class action per il rimborso dei danni da cellulare, domanda: perché non far causa, allora, anche ai produttori di caffé e sottaceti?) e i nemici dell’elettrosmog cantano vittoria, proviamo a ripercorrere questa storia infinita. (A proposito di elettrosmog, il termine è stato coniato ormai diversi anni fa, quando è stato sollevato il possibile pericolo per la salute delle antenne di telecomunicazioni, come quelle di Radio Vaticana. La sentenza finale dell’Iarc è che queste antenne appartengono al gruppo 3, “non classificabile come cancerogeno per gli esseri umani”).

Ma torniamo ai cellulari.

Punto uno. Sono 20 anni che va avanti il dibattito sulla sicurezza dei telefoni senza fili, con risultati contraddittori, a volte allarmanti, più spesso rassicuranti. Gli stessi esperti dell’Iarc hanno ammesso che non sono in grado di fornire una quantificazione del possibile rischio. Citano uno studio “shock” secondo cui i “grandi utilizzatori” di cellulari, quelli che hanno passato al telefono 30 minuti al giorno per oltre 10 anni (per inciso: forse una volta mezz’ora al telefono era tanto, ma oggi non più, magari anche questi criteri andrebbero aggiornati) avrebbero il 40% di probabilità in più di sviluppare un glioma. D’altro canto, moltissimi altri studi hanno trovato deboli o nulle evidenze in tal senso. Per questo, la conclusione parla di evidenze “limitate” e limitatamente a due specifici tumori. Inadeguate, per tutto il resto.

Punto due. Un anno fa, il più grande studio epidemiologico condotto finora, Interphone, dopo 10 anni, 19 milioni di euro e 10 mila intervistati di 13 paesi diversi, concludeva così: “L’uso del telefono cellulare non risulta legato allo sviluppo di tumori cerebrali”. Lo studio era coordinato proprio dalla Iarc (qui, il comunicato stampa dell’Istituto superiore di sanità). Ok, Interphone aveva parecchi punti deboli: per il campione esaminato (pazienti già affetti dal cancro o loro parenti), le modalità d’indagine (si chiedeva, a ritroso, di ricordare con quale frequenza e come avessero usato i telefonini negli ultimi 10 anni, una parola!), i tempi biblici (10 anni sono tantissimi nel campo della tecnologia). Tuttavia non esistono ad oggi studi di popolazione più vasti di questo.

Punto tre. Si sa per certo che le radiofrequenze dei telefonini non hanno la capacità di modificare direttamente il Dna, a differenza delle radiazioni ionizzanti (come i raggi X o ultravioletti). L’unico effetto delle radiazioni non ionizzanti, quelle appunto dei cellulari, di cui si è sicuri al 100% è la capacità, ad alte intensità, di riscaldare i tessuti biologici. Ma che cosa questo possa provocare sulla salute, non è noto. Non esiste, ad oggi, un meccanismo biologico che spieghi come le radiazioni non ionizzanti possano provocare il cancro o altri problemi fisici.

Punto quattro. Viene da chiedersi se sarà mai possibile quantificare in maniera precisa un rischio di cancerogenicità (se esiste) dei cellulari. Vengono utilizzati molto di più rispetto a qualche anno fa (se ne contano cinque miliardi nel mondo, solo in Italia quasi due a testa), ma i modelli cambiano continuamente ed emettono meno di quelli di vecchia generazione. Va detto, inoltre, che le uniche malattie su cui incombono dei sospetti, glioma e neurinoma acustico, hanno un’incidenza rara (cinque persone ogni 100.000 abitanti) ed esordio tardivo: verificare la responsabilità dei cellulari a distanza di tanto tempo è un’impresa difficile, come spiegavano gli esperti qui.

Punto cinque. “La classe di pericolosità 2B non comporta nessuna etichettatura o limitazione dei livelli di esposizione, perché non implica assolutamente la certezza del legame con i tumori”, come specifica Susanna Lagorio, esperta dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile scientifico per l’Italia dello studio Interphone. Le speranze di far chiarezza sono riposte, quindi, nel prossimo grande studio: “Quello più importante, avviato nel 2010, si chiama Cosmos, e coinvolge 250mila persone in tutta Europa”, dice Lagorio. “Dovrebbe riuscire a superare tutte le limitazioni dei precedenti. Nel frattempo le raccomandazioni di limitare l’uso del telefonino sono più che altro a scopo precauzionale, perché solo l’Oms può dare indicazioni di salute pubblica, e lo farà probabilmente tra due anni in un volume apposito sulle radiofrequenze”.

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