Da uno studio sui quadri di Jackson Pollock emergono nuove informazioni sulla sua tecnica di pittura.
LA VOCE DEL MASTER – Per molte persone i quadri astratti non sono altro che schizzi di colore su una tela… E se invece al di sotto della pura creazione artistica ci fossero modernissimi concetti di fisica? È quello che emerge da uno studio pubblicato a giugno sulla rivista Physics Today.
L. Mahadevan, professore di matematica applicata presso la Scuola di Ingegneria e Scienze Applicate di Harvard, ha collaborato con lo storico Claude Cernuschi per esaminare il quadro senza titolo in nero e rosso del 1948 di Jackson Pollock. L’analisi ha seguito i metodi e l’impostazione della fluidodinamica per capire in che modo l’autore ha fatto depositare il colore sulla tela. La conclusione? Si può forse dire che l’autore abbia lasciato che la fisica facesse la sua parte per creare nuovi effetti artistici.
Il professor Mahadevan si è interessato ai quadri di Pollock quando alcuni colleghi gli hanno fatto notare che l’artista aveva in parte colto gli stessi aspetti di fluidodinamica che lui aveva studiato in passato. Jackson Pollock dipingeva appoggiando una tela sul pavimento e disegnando le sue curve facendo gocciolare il colore da uno stecco o da una paletta. Per avere effetti diversi, come lo spessore delle linee di colore, Pollock modificava l’angolo e l’altezza della paletta rispetto alla tela. Un fluido come la vernice può colpire una superficie in molti modi: si possono formare degli schizzi, delle gocce, oppure, a seconda della densità e della viscosità, può ripiegarsi e avvolgersi su se stesso, come il miele quando viene fatto cadere sul pane. (Effetti simili si possono avere anche quando a muoversi è il quadro e non il pennello, lo hanno dimostrato all’Università di Toronto con un video dimostrativo.)
Nelle sue sperimentazioni, Pollock doveva aver notato che, muovendo la mano molto lentamente, i colori colavano in modi diversi a seconda delle loro caratteristiche e questo gli permetteva di creare effetti diversi: nel dipinto del 1948 ad esempio, si possono notare dei piccolissimi occhielli. L’artista stava sperimentando in pratica la fluidodinamica prima che gli scienziati cominciassero a studiarla sistematicamente; i primi articoli importanti infatti, si collocano tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 anche se solo negli ultimi anni sono state fatte delle analisi quantitative che spiegano i contributi inerziali, gravitazionali e legati alla viscosità dei fluidi che colano.
Molti artisti hanno lavorato al limite tra arte e scienza, basti pensare alle rappresentazioni di Leonardo da Vinci delle sue invenzioni o delle sue tavole anatomiche. In questo caso però l’intersezione tra la scienza e l’arte è ancora più profonda, tanto che gli autori dello studio si chiedono se sia forse possibile che grazie allo studio della fluidodinamica si aprano un nuovo stile e nuove possibilità artistiche.