Un articolo di Science descrive centinaia di anticorpi prodotti da cellule del sistema immunitario. A differenza di quelli già noti, in vitro sono efficaci contro 118 tipi diversi tipi di HIV tra i quali i 32 ceppi “fondatori” dell’infezione.
Due settimane fa a Roma si è svolta la VI conferenza dell’International Aids Society su “patogenesi, trattamento e prevenzione”. Sul lato prevenzione, i vaccini non smettono di deludere. Quello sperimentato in Thailandia ha un 31% di efficacia solo se si usano i parametri più favorevoli per la statistica. Il “vaccino italiano” basato sulla proteina TAT del virus è ora detto meno ambiziosamente “immunizzazione terapeutica” dagli stessi ricercatori. Non ha avuto gravi effetti collaterali negli 88 pazienti che partecipano all’esperimento clinico, scrivevano nel novembre scorso su PLoS ONE, ma sembra solo rafforzare un po’ la Haart, il cocktail di farmaci che dal 1996 ha fatto diventare cronica un’infezione letale .
Però capita spesso che alla vigilia di un vertice sull’AIDS escano risultati promettenti. L’anno scorso, sono usciti i dati del primo esperimento con un gel vaginale non tossico come quelli precedenti: proteggeva il 39% delle donne dall’infezione da HIV e il 51% da quella da Herpes simplex che rende più vulnerabile all’HIV. Nel maggio scorso, in tempo per la presentazione di Aids at Thirty, il bilancio annuo di UNAids, è stata fermata anzitempo una serie di esperimenti clinici condotti con 1.763 coppie discordanti – metà delle quali nel gruppo di controllo – in Asia, in Africa e nelle Americhe. Il successo era ormai innegabile. Quando il/la partner sieropositivo/a e senza alcun sintomo di AIDS assume farmaci antiretrovirali, le probabilità che trasmetta il virus calano del 96,7%. Sull’arco di sei anni, fra le coppie di cui un/a partner assumevano i farmaci c’è stata un’unica infezione rispetto a 28 nel gruppo di controllo.
Questa volta, le promesse sono state anticipate da Science. Si sapeva già che a tre anni di distanza dall’infezione, in alcuni sieropositivi le cellule B del sangue producono anticorpi “agonistici”. Ingannano l’HIV imitando all’incirca una proteina (CD4) che sta sui linfociti T, altri globuli bianchi importanti nel sistema immunitario, nella quale il virus infila una propria sporgenza per poi entrare nella cellula e replicarsi. Per dirlo con un’analogia, gli anticorpi sono come serrature nelle quali l’HIV resta bloccato.
Oltre a identificarne, clonarne e testarne 576 uno per uno, il gruppo coordinato da Michel Nussenzweig, dell’università Rockfeller a New York, dimostra che in vitro neutralizzano il 96% delle 118 varianti più diffuse dell’HIV. Gli autori precisano che sul loro meccanismo d’azione ci sono solo ipotesi e che non tutti i sieropositivi con un’elevata neutralizzazione dell’HIV producono questi stessi anticorpi, quindi resta altro da scoprire. Nel frattempo pensano che
potrebbero contribuire al controllo dell’HIV in un sotto-insieme di sieropositivi, essere utili per la prevenzione dell’infezione e magari per un trattamento poiché basta una concentrazione molto bassa per neutralizzare il virus.
Al condizionale, certo. Però in mezzo alle venti firme c’è quella di David Ho che di contributi ne ha già dati parecchi. E in mezzo alla ventina di anticorpi noti da prima, soltanto un paio si legano abbastanza saldamente all’HIV da disattivarlo.