ESTERI

Nucleare, i due volti dell’Asia

Il dopo Fukushima dell’Asia ha un doppio volto: quello nuclearista di Cina e India e quello prudente del Giappone. Un paese che, secondo il suo Primo Ministro, ha un futuro senza nucleare

ESTERI – Come ha reagito il mondo a Fukushima? In Europa ha prevalso la prudenza: a poco meno di cinque mesi dal disastro giapponese, infatti, paesi come Germania e Svizzera hanno annunciato un processo di disimpegno dal nucleare. In Italia il plebiscitario referendum dello scorso giugno ha segnato il tramonto del programma atomico, per altro già messo in discussione dal Governo poche settimane prima della tornata elettorale. La Francia, dal canto suo, non sembra avere in programma nessun dietrofront; tuttavia, non è previsto neppure un rilancio in termini di grandi investimenti in questa fonte energetica. Un solo nuovo reattore infatti è in arrivo in Francia nella prossima decade. Negli Stati Uniti sono stati indetti controlli approfonditi alle centrali per accertare eventuali malfunzionamenti o potenziali situazioni di pericolo. Una reazione emblematica arriva inoltre dai due paesi più popolati dell’Asia e del mondo, Cina e India.

Mentre in Europa i dubbi sull’energia atomica sono tanti, in questi due paesi il nucleare è in forte espansione. Fukushima non ha suscitato dubbi ai governi di Cina e India che, al contrario di Germania e Svizzera, non rinunciano alle centrali e, a differenza anche della Francia, hanno anche in programma grandi investimenti sull’energia nucleare. I numeri forniti dalla World Nuclear Association parlano chiaro: Cina (con Taiwan) e India sono i due paesi nel mondo che hanno pianificato la costruzione del maggior numero di reattori, precedendo in questa classifica anche Russia e Stati Uniti. Cina e India puntano tutto sul nucleare per garantire energia a popolazioni che superano abbondantemente il miliardo di abitanti. Reazione più “europea” quella del Giappone, paese in cui il futuro dell’energia nucleare è in forte dubbio.

Fra Cina e Taiwan sono cinquantadue i reattori pianificati per i prossimi dieci anni. Numerosi sono anche quelli proposti e in corso di approvazione, che superano il centinaio. Non solo: lo sviluppo del nucleare in Cina passa anche attraverso ricerca e sviluppo. In luglio Pechino ha annunciato dell’avvio di un reattore a neutroni veloci. Questa tecnologia consentirebbe grandi miglioramenti per quanto riguarda la durata del materiale fissile e anche la durata delle scorie. I reattori a neutroni veloci sono legati allo sviluppo commerciale delle centrali nucleari di quarta generazione, che oggi sono in fase di sperimentazione. Il reattore a neutroni veloci cinese CEFR (Chinese Experimental Fast Reactor) si trova nei pressi di Pechino ed è stato sviluppato in collaborazione con un’industria russia. Collegato alla rete elettrica alla fine di luglio, il reattore è in grado di generare 20 MWe. Oggi è però in grado di produrre meno della metà della potenza massima che, secondo il sito di World Nuclear Association, verrà raggiunta solo nel dicembre di quest’anno. La ricerca cinese nella tecnologia legata alla quarta generazione non si ferma qui: dal 2017 dovrebbe essere in costruzione un nuovo reattore a neutroni veloci, il CDFR (China Demonstration Fast Reactor), sviluppato anch’esso in collaborazione aziende energetiche russe.

La Cina punta molto sul nucleare come risposta ai problemi energetici di oggi e di domani, e l’India fa altrettanto. Il programma nucleare indiano consiste in diciotto nuovi reattori pianificati per il prossimo decennio, mentre sono quaranta quelli proposti e in fase di approvazione. Dietro a questo progetto ci sono anche gli Stati Uniti che, durante l’amministrazione Bush, hanno svolto un’intensa attività diplomatica per favorire gli investimenti indiani nell’energia nucleare. Investimenti che porteranno in India una delle centrali più grandi del mondo: a Jaitapur, a circa 400 chilometri a sud di Mumbai, nella costa occidentale dell’India, dovrebbe iniziare la costruzione di un impianto il cui costo si aggira sui 9 miliardi di dollari e che sarà costituito da sei reattori che, come riporta un articolo online di National Geographic, complessivamente saranno in grado di fornire circa il 25% di energia in più rispetto alla centrale oggi più grande, cioè l’impianto giapponese di Kashiwazaki-Kariwa. La costruzione durerà diversi anni, considerando che gli ultimi due reattori dovrebbero essere costruiti intorno al 2017.

L’impianto indiano utilizzerà tecnologia francese: sarà infatti la multinazionale transalpina Areva a fornire i reattori. La stessa Areva che avrebbe equipaggiato le centrali italiane con i reattori EPR (acronimo per Evolutionary Power Reactor). Questi reattori sono stati progettati in modo da garantire un alto standard di sicurezza: di recente, però, i reattori EPR sono stati al centro di polemiche e dubbi sulla loro reale affidabilità per via di alcuni malfunzionamenti in alcune centrali finlandesi dotate di reattori EPR forniti da Areva.

Non tutti in India vedono positivamente questa accelerazione del Governo sul nucleare. Molte proteste si sono sollevate ad esempio nella zona di Jaitapur: la centrale infatti sorgerà in una zona dal delicato ecosistema e dall’economia fondata su agricoltura e pesca. I lavoratori locali hanno fortemente criticato la costruzione della centrale. Gli ambientalisti, inoltre, fanno notare che la zona dell’India nella quale dovrebbe sorgere la futura centrale più grande del mondo è anche uno dei territori più sismici dell’intera penisola. Ma perché il Governo indiano crede così fortemente nel nucleare? “L’energia atomica è la fonte più economica e pulita a disposizione”, ha detto a National Geographic Jamir Ramesh, ex Ministro dell’Ambiente indiano. L’India non è ferma neppure sul versante della ricerca. Come in Cina, in India si stanno studiando reattori a neutroni veloci. Nel 2012 dovrebbe entrare in funzione un PFBR (Prototype Fast Breeder Reactor, ovvero “prototipo di reattore veloce autofertilizzante”, un particolare reattore in grado di produrre più materiale fissile di quello che consuma) che utilizzerà come materiale fissile il torio al posto dell’uranio. Se la sperimentazione darà i frutti sperati, nel 2020 verranno costruiti altri quattro reattori PFBR.

Ma l’Asia del dopo Fukushima non è solo quella cinese e indiana. Nel continente non c’è solo il “rinascimento” nucleare dei due paesi più popolosi; c’è anche l’altra faccia della medaglia, rappresentata dal Giappone. Nel paese colpito dallo tsunami di marzo, molti reattori precedentemente spenti per lavori di manutenzione non sono ancora ripartiti. Inoltre, altri reattori sono stati chiusi per piccoli incidenti o malfunzionamenti: quindi, a oggi, sono pienamente operativi solo 19 reattori sui 54 totali. Non solo: il Primo Ministro Naoto Kan ha lasciato intendere, in una conferenza stampa, che vedrebbe bene un Giappone pronto a una vera e propria rivoluzione energetica, capace di mettersi alle spalle il nucleare. Secondo Kan infatti il futuro dell’energia nucleare nel paese del Sol Levante non è scontato. In una conferenza stampa tenuta lo scorso 13 luglio, Kan ha sostenuto che i prossimi governi dovrebbero riformare la politica energetica del paese. I dubbi dopo Fukushima sono tanti: “Fino all’incidente di marzo – ha affermato Kan – pensavo che l’energia nucleare andasse utilizzata, ovviamente tenendo conto della sicurezza”. Ma Fukushima ha cambiato la prospettiva: “La mia esperienza dopo un disastro di così larga scala mi ha fatto capire le reali proporzioni dei rischi associati a questa fonte di energia”. Per dare un’idea della portata dei rischi associati alle centrali, Kan ha parlato delle evacuazioni nella zona dell’incidente: “I residenti in un raggio prima di 10 poi di 20 chilometri sono stati evacuati e – aggiunge Kan – non è escluso che in casi ancora peggiori si debba anche allargare questo raggio”. Anche i tempi per la messa in sicurezza non sono certi, né brevi. Per questo, ha concluso Kan, “la società giapponese in futuro non dovrà dipendere dal nucleare”. Il Primo Ministro ha così auspicato un futuro nel quale il Giappone non solo veda progressivamente ridursi la dipendenza dal nucleare, ma possa raggiungere una totale eliminazione delle centrali. Come? “Energie rinnovabili e risparmio di energia”, così Kan vede il futuro del suo paese. Un futuro che è molto diverso rispetto a quello della Cina e dell’India, che come si è visto puntano tutto sul nucleare per garantire la sopravvivenza energetica delle loro popolazioni.

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.