CRONACA

Come se la resistenza agli antibiotici non bastasse

NOTIZIE – Lo sviluppo di ceppi batterici resistenti agli antibiotici  è un problema sempre più serio, soprattutto per quelli responsabili di infezioni ospedaliere. Cancellate l’immagine di ospedali immacolati e sale operatorie asettiche: secondo quanto riportato su Epicentro, il sito web del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità:

si può stimare che in Italia il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera. Ogni anno, quindi, si verificano in Italia 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1350-2100 decessi prevenibili in un anno).

Esce oggi sulla rivista PLos Genetics una ricerca che spiega come i batteri che acquisiscono la capacità di resistere a diversi trattamenti antibiotici (multiresistenza) sono anche in grando di replicarsi più rapidamente rispetto al ceppo wild type.

I batteri possono diventare resistenti agli antibiotici attraverso mutazioni cromosomiche spontanee o attraverso l’acquisizione di plasmidi, pezzetti di DNA che passano da un batterio all’altro, modificando la sequenza del genoma, secondo un meccanismo che prende il nome di “coniugazione batterica”. Ne avevamo già parlato a proposito dell’epidemia di Escherichia coli di maggio.

Gli autori della ricerca hanno studiato proprio l’ormai famoso Escherichia coli e hanno visto che quando le cellule batteriche resistenti a un antibiotico acquisiscono una nuova resistenza grazie al trasferimento del DNA, il ceppo che si sviluppa si riproduce più velocemente del normale (al contrario di come si pensava fino a oggi). I ricercatori hanno studiato le interazioni tra cinque plasmidi di coniugazione e dieci mutazioni cromosomiche che conferiscono resistenza a tre tipi di antibiotici, per un totale di 50 diverse combinazioni di mutazioni cromosomiche e plasmidi, mostrando che talvolta i plasmidi conferiscono un vantaggio ai ceppi batterici portatori di mutazioni di resistenza farmacologica nei loro cromosomi. Ciò si verifica nel 32% (16 su 50) di combinazioni testate. Inoltre, in 5 casi su 50 (il 10%) si è osservato un aumento di sopravvivenza anche quando un batterio che aveva già acquisito un plasmide, sviluppava una nuova mutazione di resistenza. Questo lavoro spiega, almeno in parte, il meccanismo con cui si è evoluta rapidamente la farmaco resistenza dei ceppi batterici a diversi tipi di antibiotici. Per capirla possiamo immaginare un meccanismo a due passaggi: in un primo passaggio il batterio sviluppa una mutazione nella propria sequenza di DNA e diventa resistente all’antibiotico A, poi un altro batterio gli passa un plasmide e lui diventa resistente anche all’atibiotico B. A+B e il nostro batterio ha una multiresistenza, e come se non bastasse riesce a replicarsi più velocemente di quanto pensassimo. Ora invece di A e B pensate a rifampicina e streptomicina e il gioco è fatto.

Nel 2009, il gruppo di ricerca aveva già mostrato l’importanza delle interazioni casuali tra geni nel determinare la resistenza agli antibiotici nei batteri.Questo ultimo studio uscito oggi prende i loro risultati iniziali e fa un ulteriore passo avanti, dimostrando che questo è un fenomeno generale, e quindi può aiutare a prevedere come una popolazione batterica si evolverà dopo aver ricevuto un plasmide in grado di conferire resistenza a un antibiotico.

Come ha dichiarato oggi sull’Huffington Post Jan Patterson, presidente della Society for Healthcare Epidemiology of America, questi risultati, se confermati, sono piuttosto preoccupanti e dovrebbero spingere a una maggior sensibilizzazione riguardo all’uso (spesso sconsiderato) di antibiotici, ma anche allo sviluppo di nuovi trattamenti farmacologici in grado di bloccare la coniugazione batterica e il trasferimento di DNA da un ceppo batterico all’altro.

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