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La stella che non dovrebbe esistere

FUTURO – Un gruppo di astronomi italiani, francesi e tedeschi ha scoperto, a quattromila anni-luce di distanza, nel cuore della costellazione del Leone, la stella più antica finora conosciuta. Questa stella nana, situata nella nostra galassia, la Via lattea, è stata osservata grazie al Very Large Telescope (Vlt) dell’Osservatorio meridionale europeo (Eso), che non si trova in Europa, ma in Cile. La stella, un po’ più piccola di un sole e probabilmente risalente a tredici miliardi di anni fa, si distingue per il suo bassissimo tenore in elementi chimici pesanti, che sono quelli sintetizzati dopo il Big Bang. I dati raccolti contraddicono i modelli teorici e gli scenari astrofisici consacrati, e sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature.

La caccia alle stelle primordiali è un campo astrofisico assai recente: gli specialisti della composizione chimica delle stelle si dedicano a questo studio per capire meglio come la nostra galassia si sia formata ed evoluta. I modelli più comunemente accettati tendono a considerare che tutte le prime stelle dell’universo siano dotate di enormi masse, e che siano rapidamente esplose in ipernove (simili alle più comuni supernove, ma con un’energia 100 volte superiore). In seguito, sarebbero apparse stelle di masse minori, come quelle che conosciamo oggi: il Sole, per esempio.

O anche come la stella appena scoperta dal gruppo di astronomi: gruppo in cui è presente una nutrita rappresentanza italiana sotto la guida di Elisabetta Caffau, del Centro per l’Astronomia dell’università tedesca di Heidelberg e dell’Osservatorio di Parigi, che ha coordinato lo studio. I ricercatori hanno snidato la stella tra le 2899 stelle identificate come potenzialmente primitive nel censimento americano Sloan Digital Sky Survey. All’epoca dell’osservazione, soltanto un terzo di questi astri, in maggioranza situati nell’emisfero celeste nord, erano accessibili al Vlt. Alla fine, è stata studiata una selezione più ridotta, di sei candidati. Il migliore di questi, la stella soprannominata “di Caffau”, appare in cielo come un minuscolo punto luminoso di magnitudine 17, cioè 25000 volte troppo debole per poter essere percepita a occhio nudo.

I ricercatori hanno analizzato le radiazioni emanate dalla stella, e i dati acquisiti hanno rivelato che essa è composta quasi soltanto degli elementi leggeri idrogeno ed elio, originati dal Big Bang. Gli elementi pesanti sintetizzati successivamente, come carbonio, magnesio, silicio, calcio, ferro e stronzio sono sì presenti, ma in percentuale bassissima: lo 0,00007% della massa della stella. Cioè, ventimila volte meno di quanto si misuri nell’atmosfera del Sole.

Il problema è che, secondo i modelli classici della formazione stellare, queste nane uniformemente povere di elementi pesanti non dovrebbero poter esistere, perché le nubi di materiale da cui si sono formate non avrebbero mai potuto condensarsi. E invece, eccone una. Almeno in questo caso, la teoria dovrà essere rivista.

Altra curiosità da spiegare: la stella di Caffau è molto povera di litio, un elemento leggero, primordiale e fragile. Alle origini dell’universo, ha accompagnato l’idrogeno e l’elio in piccole tracce. Come mai è sparito e quale processo l’ha distrutto? Un’idea plausibile è che la materia stellare si sia riscaldata fino a una temperatura di più di due milioni di gradi, a cui il litio non sopravvive. Ma, per ora, è solo un’ipotesi: la stella, invece, è lì, e per il momento si fa beffa delle teorie.

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