AMBIENTE – Un gruppo internazionale diretto da Mark Browne ha rilevato una concentrazione di fibre sintetiche sulle spiagge di tutti i continenti, Antartide compresa, un inquinamento invisibile il cui impatto sugli ecosistemi costieri resta da chiarire.
Su Environmental Science and Technology di novembre, esce una ricerca più meticolosa che rivoluzionaria, la quale evoca l’opinione – un po’ misantropa – dell’astrofisico britannico Fred Hoyle:
Il fatto che alcune persone siano disposte a trascorrere la propria vita a frugare nella melma stratificata a caccia di scarafaggi al solo scopo di acquisire questo tipo di conoscenze mi pare uno degli aspetti per il quale la specie umana meriti di essere salvata. (Anshen Conference, New York, 1993)
In questo caso non si tratta di scarafaggi, spiace deludere i lettori, bensì di detriti di plastica dalle dimensioni inferiori al millimetro.
Alcuni colleghi che avevano indossato esclusivamente indumenti in fibra naturale per non contaminare i prelievi, hanno inviato a Mark Browne e altri ricercatori in bioscienze ambientali dello University College di Dublino, campioni di sabbia bagnata presi su 18 spiagge rappresentative dei principali ecosistemi costieri tra il polo Nord e il polo Sud, passando dal Dubai. Gli irlandesi hanno separato i granelli dagli altri ingredienti, nella poltiglia rimanente hanno contato il numero di “microplastiche” presenti e ne hanno identificato la composizione chimica con spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier: dal 65 all’80% erano fibre acriliche o di poliestere.
Siccome la distribuzione di particelle naturali fluttuava poco da un posto all’altro, la concentrazione di microfibre doveva avere un’origine antropica. Per dimostrarlo, sono stati analizzati anche i sedimenti marini prelevati attorno agli sbocchi di fognature urbane, con e senza depuratori. Come da ipotesi, in prossimità delle grandi metropoli la concentrazione arrivava fino a 300 fibre sintetiche per 250 millilitri di volume, rispetto a due o tre nelle zone poco abitate, e i depuratori facevano poca differenza.
Per fugare gli ultimi dubbi sulle fonti di inquinamento, una serie di esperimenti in “lavatrici di uso domestico” ha consentito di stabilire che ogni unità di indumenti quali felpe, spugne, camice ecc. rilasciano oltre 1.900 fibre a lavaggio. (1) In precedenza, Mark Browne aveva anche osservato che le microplastiche penetrano nelle cellule di organismi che filtrano l’acqua di mare per cibarsi dei suoi nutrienti come le cozze e le ostriche. Finora non paiono risentirne e nemmeno noi, però
Con l’aumento della popolazione e un maggior uso di tessuti sintetici, è probabile che aumenti la contaminazione di habitat e animali con microplastiche.
(1) Pur condotto da Mark Browne, fino a poco tempo fa dell’università di Sidney, lo studio non tiene conto delle fibre sintetiche trattenute dall’ombelico che finiscono nello scarico per altre vie, oggetto della ricerca su migliaia di australiani per la quale Karl Kruszelnicki aveva ricevuto il premio Ig Nobel nel 2002, e tutt’ora in corso.