POLITICA – Ogni anno circa 50mila italiani lasciano il bel Paese per trasferirsi all’estero. Nel 2009 se ne sono andati più di 48mila, il 16% con una laurea in tasca, nel 2000 erano il 9,7%. Questi “cervelli in fuga” – giovani e brillanti neolaureati, ricercatori e professionisti – hanno portato con sé 4 miliardi di euro. È questo, infatti, il valore economico dei 301 brevetti depositati dai 20 principali scienziati italiani emigrati all’estero, secondo i calcoli dell’Istituto per la Competitività (ICom). Del resto il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani lavora all’estero. Se consideriamo i primi 100, addirittura uno su due ha abbandonato il nostro Paese.
C’è chi, come l’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, considera il fenomeno non come una fuga, ma una “fisiologica mobilità all’estero”. “Non c’è un’emorragia di intelligenze italiane, ma normale mobilità nell’ambito della ricerca, che ha caratteristiche diverse da quelle di altri lavori, come i metalmeccanici, che non prevedono mobilità”, ha affermato Fazio a Cernobbio qualche settimana fa, suscitando non poche polemiche tra gli altri scienziati presenti.
Quello che distingue l’Italia dagli altri Paesi sviluppati è il bilancio negativo tra “brain drain” e “brain gain”, cioè la scarsa capacità di università, centri di ricerca e industrie italiane di attrarre ricercatori e professionisti oltreconfine. In media per ogni “cervello” che entra in Italia, ne esce uno e mezzo.
Tuttavia, in Italia, la ricerca si fa e anche con buoni risultati in rapporto alla scarsità di stanziamenti. Come rileva lo studio dell’ICom, abbiamo un numero di ricercatori più basso rispetto agli altri Paesi del G7, ma con un indice di produttività individuale superiore alla media dei principali Paesi europei. Tutto questo in un clima di carenze di risorse, nessun riconoscimento del merito e sottoinquadramenti. Solo per fare un esempio, secondo i calcoli di Almalaurea, se un neolaureato italiano all’estero guadagna in media 1.568 euro al mese, il suo collega rimasto in Italia ne prende solo 1.054.
Proprio per frenare la fuga dei cervelli italiani è in vigore la legge 238/2010 che garantisce sgravi fiscali ai talenti che desiderano tornare a lavorare in Italia. Per ora, anche se non c’è una statistica ufficiale, sono pochi ad averne usufruito. Chissà perché.