SALUTE

Lui, lei e il papillomavirus

SALUTE – Il papillomavirus, o Hpv, è nemico giurato delle donne, essendo il responsabile del 99% dei tumori al collo dell’utero. Ma non è tanto amico neppure degli uomini. Nuove ricerche stanno mettendo in luce che quest’infezione, trasmessa principalmente attraverso i rapporti sessuali, provoca nei maschi guai peggiori di quanto finora si pensasse. “Il virus aderisce agli spermatozoi, rendendoli più radi, più lenti e meno reattivi”, annuncia Carlo Foresta, direttore del Centro di crioconservazione dei gameti maschili dell’Università di Padova. Le analisi condotte nel suo laboratorio hanno dimostrato che i campioni di liquido seminale positivi all’Hpv presentano alterazioni biologiche, in particolare nella quantità e nella motilità degli spermatozoi. “Una condizione che predispone all’infertilità”, è il logico corollario. Si stima che il 10% degli uomini infertili sia portatore del virus, contro il 2,2% della popolazione generale.

Non solo diventa più difficile concepire un bimbo, ma anche un’eventuale gravidanza rischia di andare incontro a complicazioni. Secondo Foresta, “gli spermatozoi sono in grado di trasportare l’Hpv nell’ovocita e alterare lo sviluppo dell’embrione, inducendo aborto precoce”. Il problema è emerso negli interventi di fecondazione assistita, in cui si è visto che l’impiego di spermatozoi portatori del virus aumenta le probabilità di fallimento di procreazione. Di conseguenza è stata messa a punto una tecnica per “scollare” il virus dai gameti maschili, e riportarli alla normalità. Il rischio infertilità è solo l’ultima scoperta che allunga la “lista nera” dell’Hpv. Se è vero che nei maschi l’infezione non ha manifestazioni cliniche importanti come avviene per le donne, è un fatto che condilomi (lesioni benigne) e verruche sono frequenti anche per lui. Inoltre, circa la metà dei tumori maligni del pene (un carcinoma raro, che colpisce sette uomini su un milione) porta la firma dell’agente patogeno e la maggior parte dei tumori dell’ano. Ma sono in aumento anche i tumori alla bocca e alla gola, legati alla trasmissione del virus attraverso il sesso orale. Secondo Lisa Licitra, responsabile dell’Unità di trattamento medico dei tumori di testa e collo dell’Istituto nazionale tumori di Milano, “siamo di fronte a una sorta di epidemia virale”.

Alla luce delle crescenti evidenze, il mese scorso negli Stati Uniti il comitato che esprime le raccomandazioni sui vaccini ai Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta si è espresso unanimemente a favore della vaccinazione anti-Hpv nei ragazzi di 11 e 12 anni. “Una misura di prevenzione a diretto beneficio dei maschi, che indirettamente può contribuire a ridurre la diffusione del virus dagli uomini alle donne”, ha dichiarato Anne Schuchat, a capo del panel. Il parere della commissione è ora al vaglio dei Cdc: se sarà approvato, le assicurazioni sanitarie potrebbero dover coprire le spese per il vaccino (piuttosto caro: viene somministrato in tre dosi, per una spesa totale di circa 500 euro).

E in Italia? Dal 2008 è in corso una campagna di vaccinazione gratuita contro l’Hpv rivolta alle ragazze di 11 e 12 anni (qui le risposte alle domande più frequenti). Sarebbe il caso di estendere l’offerta ai coetanei maschi? “Al momento no”, risponde Gianni Amunni, ginecologo all’Ospedale Careggi di Firenze e direttore dell’Istituto toscano tumori. “La prevenzione del cancro al collo dell’utero nelle donne si basa su numeri ampi e dati clinici incontrovertibili che giustificano un intervento di sanità pubblica. Non è così per la vaccinazione anti-Hpv negli maschi adolescenti, la cui valutazione del rapporto costi/benefici è risultata sfavorevole. Questo non significa – prosegue Amunni – che i giovani non possano vaccinarsi se lo desiderano. Il punto è che al momento non si ritiene appropriata una campagna d’immunizzazione a carico del sistema sanitario nazionale”.

Insomma, vaccinare i maschi costerebbe troppo e non conviene: l’Hpv è molto più pericoloso per lei che per lui, anche se proprio ai maschi spetta la responsabilità dei contagi femminili. Quasi tutte le donne, circa l’80 per cento, entrano in contatto col virus nel corso della vita. La maggior parte dei contagi si risolve spontaneamente, ma in un caso su dieci l’infezione persiste e può provocare lesioni delle cervice uterina che, se trascurate, in una decina di anni possono evolvere in tumore maligno. Un “big killer”, per gli oncologi. Il cancro al collo dell’utero – che in Italia colpisce circa 3.500 donne all’anno e ne uccide 1.500 – è il secondo tumore femminile più diffuso dopo quello al seno. Il vaccino anti-Hpv (ne esistono due versioni, il Gardasil della Merck e il Cervarix della GlaxoSmithKline) si è dimostrato un’efficace protezione contro i ceppi più temibili, il 16 e il 18. Prima, però, che sia avvenuto il contagio. Ecco perché si vaccinano le bambine prima della pubertà, quando non hanno avuto ancora il primo rapporto sessuale. Per le altre? Fondamentale resta la diagnosi precoce attraverso il Pap test, raccomandato ogni tre anni dopo il 25esimo compleanno. Recentemente è stato introdotto anche il test Hpv-Dna, che si basa su un’analisi genetica del virus e permette di affinare i risultati.

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