NANOTECNOLOGIE – Vi ricordate dell’idrogeno? Fino a qualche tempo fa era un argomento che riempiva le pagine dei giornali, e sembrava rappresentare la promessa per una terza rivoluzione industriale. Le potenzialità rimangono, ma i limiti tecnici per renderlo efficiente come vettore energetico pulito sono ancora notevoli, primo fra tutti lo stoccaggio.
Valentina Tozzini e Vittorio Pellegrini (rispettivamente del laboratorio Nest dell’Istituto Nanoscienze del Cnr e della Scuola Normale Superiore di Pisa) propongono però una soluzione: dei fogli di grafene stropicciati.
Stando alla loro ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of Physical Chemistry, si può indurre il grafene ad assorbire e rilasciare idrogeno controllandone il corrugamento. Attualmente, infatti, i processi di immagazzinamento e rilascio del gas richiedono pressioni e temperature molto elevate, con un alto dispendio energetico e con costi ben poco concorrenziali. Riuscendo a controllare il corrugamento del grafene si potrebbe rilasciare l’idrogeno anche in condizioni ambientali normali.
Utilizzare il grafene per questi scopi è una strada del tutto nuova. È un materiale estremamente versatile, formato da un solo strato di atomi di carbonio disposti in una sorta di alveare. Le simulazioni computerizzate dei due ricercatori indicano che se viene compresso uno strato si formano delle ondulazioni particolari, dove l’idrogeno aderisce chimicamente. Si formano cioè delle creste e delle onde, che mosse (“stropicciando” il grafene) provocano il rilascio dell’idrogeno.
“L’idrogeno ha una forte affinità per le zone convesse del grafene e molto poca per quelle concave”, spiega Valentia Tozzini. “Questo accade perché l’energia del legame è proporzionale alla curvatura del reticolo atomico”. In parole povere in alcuni punti si attacca e in altri no. A quel punto è un po’ come scuotere un tappeto per far andar via la polvere. Sostituite la polvere con l’idrogeno e il tappeto con uno strato di grafene e avrete un’idea del meccanismo.
Finora il tutto rimane teoria, ma passare dalla simulazione a uno strumento concreto non sembra essere utopistico. “La realizzazione di dispositivo è vincolata da molti requisiti ingegneristici che abbiamo appena cominciato a esplorare, ma le simulazioni di questo studio ci dicono che la strada è percorribile”, dichiara Vittorio Pellegrini.
Immagine: CORE-Materials (CC)