POLITICA – La battaglia che vede schierati animalisti contro scienziati è alla resa dei conti. A dirimere le polemiche che puntualmente divampano sulla sperimentazione animale – l’ultimo caso è esploso per i macachi importati dalla ditta Harlan di Correzzana – ci penserà il Parlamento Italiano che potrebbe approvare alcuni emendamenti, ancora più restrittivi, alla Direttiva europea sulla sperimentazione animale varata nel 2010 e attualmente in fase di recepimento nei 27 paesi membri. Le modifiche della discordia (tra cui il divieto di allevare in Italia cani, gatti e scimmie destinati alla ricerca, di condurre esperimenti senza anestesia e utilizzare gli animali a scopi formativi) sono già state approvate alla Camera e a breve (entro il 10 novembre) saranno discusse al Senato. Se passassero, sarebbe una vittoria per gli animalisti. E una mannaia per la ricerca biomedica.
La posta in gioco è alta. Così, mentre la Lav, Lega anti vivisezione, nei week-end del 17-18 marzo e 24-25 marzo porta in centinaia di piazze (con tanto di raccolta firme) il suo messaggio per una ricerca priva di dolore che non comporti il sacrificio degli animali, i “big” della ricerca italiana si sono riuniti, a Milano, per fare chiarezza sulle proprie ragioni e lanciare un appello alla classe politica perché non prenda posizioni ideologiche e “punitive” che rischierebbero di fermare il progresso medico.
“I ricercatori non sono dei torturatori, non ci divertiamo a usare gli animali”, ha spiegato Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche Farmacologiche Mario Negri. “Gli animali vengono impiegati solo quando non se ne può fare a meno e comunque dietro il parere di un Comitato etico e l’autorizzazione del Ministero della Salute. Ma la sperimentazione animale è ancora assolutamente indispensabile se vogliamo che i malati abbiano accesso a nuove terapie”. Molti dei più grandi avanzamenti della medicina degli ultimi cent’anni si devono al tributo di milioni di cavie. Basti pensare ai trapianti, allo sviluppo delle neuroscienze. O ai farmaci antiretrovirali grazie ai quali è possibile controllare l’Aids, che senza la sperimentazione sui primati sarebbe ancora una malattia fatale.
È questione di sicurezza, poi. Sarebbe troppo rischioso sperimentare tecniche chirurgiche o farmaci direttamente sui pazienti, senza averli prima provati su altre specie. Tant’è vero, come ha specificato Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale all’Istituto europeo di oncologia, che “il 40 per cento dei farmaci non supera la seconda fase di sperimentazione, dopo quella sulle colture cellulari, e viene bloccato prima di entrare nella terza fase, quella clinica”.
Gli antivivisezionisti replicano che molti farmaci, pur essendosi dimostrati innocui sugli animali, hanno provocato effetti devastanti una volta entrati in commercio. Celebri i casi del Talidomide, che negli anni Sessanta causò la nascita di 10 mila bambini focomelici, o in tempi più recenti il Vioxx, antinfiammatorio che uccise migliaia di persone per infarto prima di esser ritirato dal mercato. Gli scienziati ribattono che, a differenza del passato, oggi si effettuano sugli animali studi di tossicità nella riproduzione, proprio perché casi come il Talidomide non si ripetano mai più. E sottolineano che senza la sperimentazione animale i farmaci che riservano brutte sorprese sarebbero molti di più.
Secondo gli animalisti è comunque inaccettabile il martirio di circa 900 mila animali all’anno in Italia e 12 milioni in Europa, quando si potrebbero usare metodi alternativi (colture in vitro, simulazioni al computer, tecniche di imaging, chip al Dna) che – dicono – non vengono incentivati abbastanza perché ricorrere agli animali è più conveniente. “Si definiscono ‘alternativi’ metodi di ricerca che sono soltanto complementari ai test sugli animali”, dice Garattini. “Le colture cellulari si usano in tutti i laboratori, ma non ci permettono in alcun modo di capire quali sono gli effetti di una terapia su un organismo vivente, in tutta la sua complessità. Se gli animali non sono sufficientemente vicini all’uomo per esser predittivi, figuriamoci alcune cellule”. Sulle tecnologie, “sono utilissime, come dimostra il fatto che il numero di animali impiegati nella ricerca è nettamente inferiore rispetto al passato”. Quanto ai costi? “La principale voce di spesa per i centri di ricerca, dopo i salari, è il mantenimento degli animali. Se ci fosse la maniera di farne a meno, lo faremmo”. E comunque, la parola vivisezione è fuorviante. “Ha il solo scopo di suscitare terrore, nessuno seziona esseri viventi”.
Così, punto per punto, i ricercatori hanno esposto le ragioni della ricerca biomedica. Ricerca che ora potrebbe subire un duro colpo se appunto il Parlamento dovesse decidere di porre ulteriori restrizioni. L’Italia, dal 1992, adotta regole più severe di quelle approvate a livello europeo per armonizzare la situazione nei paesi membri e aggiornare la normativa ormai obsoleta risalente al 1986. Nel nostro paese è già vietato l’uso di animali randagi nei laboratori; non si possono impiegare animali nella didattica; cani, gatti e scimmie possono essere utilizzati solo previa autorizzazione del Ministero della Salute; sono vietati esperimenti senza anestesia ed è obbligatorio limitare le pratiche dolorose. Ogni eccezione è concessa “in deroga di legge” solo laddove si produca un dossier che ne comprovi l’effettiva necessità. Secondo gli ultimi dati relativi al triennio 2007-2009 emanati dal Ministero della Salute , su circa 900 mila animali usati ogni anno per fini sperimentali, quasi l’80 per cento è rappresentato da topi, ratti e altri roditori. Nel 2009, sono poi stati utilizzati oltre 30 mila uccelli, più di 8 mila conigli, circa 2.500 suini, 607 cani, 502 primati e nessun gatto.
Dalla parte degli scienziati si è schierato anche Massenzio Fornasier, presidente della Società Veterinari Animali da Laboratorio, secondo cui ulteriori restrizioni, come il divieto di allevamenti sul territorio nazionale, potrebbero ritorcersi contro gli stessi animali. “I centri italiani dovranno rifornirsi all’estero. E il trasporto è la minaccia più grave per il loro benessere. Senza contare che non sapremo mai se questi allevamenti rispettano le regole. Quanto all’anestesia, prevedere l’anestesia sistematica significa somministrarla anche nei casi non appropriati, come un prelievo di sangue”.
Ora, ai politici l’ardua sentenza.
Crediti immagine: Jepoirrier, Flickr