CRONACA – Nature Geoscience anticipa on-line il secondo lavoro sul clima coordinato da Myles Allen, dell’università di Oxford, e firmato da decine di autori appartenenti a centri di ricerca sparsi tra Gran Bretagna e Nuova Zelanda. Sono stati aiutati da oltre ventimila volontari che hanno scaricato il programma BOINC sul proprio computer e forniscono la potenza di calcolo necessaria per elaborare le simulazioni del clima futuro.
Scienziati e volontari della “citizen science” hanno controllato le proiezioni della temperatura ottenute da migliaia di modelli fisici-dinamici-non lineari del clima in funzione dello scenario “medio” di emissioni di gas serra e della loro influenza sul clima. (Per gli scenari bassi, medi e alti rif. IV rapporto IPCC, vol. I, cap. 10 sez. 2). Conclusione:
le versioni che riproducono meglio i cambiamenti nelle temperature alla superficie degli ultimi cinquant’anni danno per il 2050 un aumento della temperatura globale media da 1,4 a 3 gradi Kelvin, rispetto alla media per il periodo 1961-1990.
Fin qui niente di nuovo, lo diceva già il IV rapporto dell’IPCC nel 2007. Nelle nuove simulazioni però, la forbice
si allarga verso un riscaldamento maggiore negli insiemi di opportunità (1) usati di solito per valutare gli impatti del clima… A metà del 21mo secolo, risulta un riscaldamento più marcato che… collima con le variazioni di temperatura osservate di recente.
Se la concentrazione atmosferica di CO2 va avanti come ora, insomma, ci sono maggiori probabilità di arrivare a un aumento di 3-5 gradi in più nel periodo 2041-2060.
Il primo articolo della rete Climate prediction Climate prediction, uscito il mese scorso sulle Geophysical Research Letters, riguardava il ruolo del riscaldamento globale nell’ondata di caldo del 2010 in Russia. Era un esempio del “problema dell’attribuzione”, della possibilità o meno di calcolare la parte di un evento meteo estremo dovuta alla variabilità naturale e la parte dovuta al riscaldamento globale da emissioni di gas serra. Si affrontavano due risposte: il riscaldamento globale non aveva alcun ruolo nell’analisi di Randall Dole et al., contribuiva per l’80% in quella di Dim Coumou e Stephan Rahmstorf. Myles Allen e colleghi avevano mostrato che entrambe erano corrette perché partivano da dati diversi. Considerati tutti quelli esistenti, il contributo delle nostre emissioni era evidente anche se inferiore all’80%.
Ora su Nature Climate Change esce proprio un articolo di Coumou e Rahmstorf che tengono conto della lezione a proposito degli eventi meteo estremi avvenuti tra il 2000 e il 2011. Nel caso di tempeste, tifoni, uragani e simili i dati non sono “conclusivi”. Per il resto, concludono così:
In una famosa udienza del 1988, Jim Hansen dichiarò al Congresso “è ora di smetterla con le ciance e di dire che l’evidenza è bell’e robusta: l’effetto serra c’è”. Più di vent’anni dopo, l’evidenza è robusta: estremi antropogenici di caldo e di pioggia ci sono e stanno causando un’intensa sofferenza umana.
Vista l’efficacia del volontariato, le incertezze sull’evoluzione del clima mediterraneo e che l’apposito Centro aspetta il suo supercalcolatore, non si potrebbe creare un Climate prediction net anche qui?
(1) Sono “insiemi” elaborati con tecniche statistiche che limitano le incertezze, per i particolari rif. i lavori di Claudia Tebaldi all’NCAR di Boulder, e del suo gatto…