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JEKYLL – Dopo averlo provato per voi e a pochi giorni dalle finali internazionali, facciamo un bilancio della prima edizione italiana di FameLab, il talent show della scienza ideato in Gran Bretagna dal Cheltenham Science Festival nel 2005. Il 4 maggio si è tenuta a Perugia la finale nazionale, e il vincitore, Riccardo Guidi (classe 1987) – laureato in Biotecnologie presso l’Università di Bologna e dottorando a Stoccolma presso il Karolinska Institutet – il 13 giugno volerà a Cheltenham per sfidare 20 avversari che provengono dal resto del mondo.
Abbiamo intervistato Leonardo Alfonsi, coordinatore di FameLab Italia, che si dice soddisfatto dell’esperienza e della partecipazione alle selezioni locali. “Come primo anno abbiamo avuto un’adesione, nelle 4 città dove di sono tenute le selezioni locali a marzo, di circa una ventina di concorrenti. Abbiamo cercato di selezionare scienziati nella fascia di età tra i 30 e i 45, che in questo paese significa essere ‘giovani ricercatori’. Negli altri paesi nei quali si è svolto Famelab, nei momenti di picco alle selezioni locali hanno partecipato circa 40 scienziati. Una partecipazione che però non è stata raggiunta già alla prima edizione, ma negli anni successivi. Quindi abbiamo avuto una buona partenza, che ci stimola a fare molto di più per i prossimi anni”.
Anche da parte del pubblico la partecipazione è stata buona. “Alla finalissima che si è tenuta al Teatro Pavone di Perugia avevamo la platea e un paio di file di palchi pieni. È interessante l’età media e la varietà del pubblico: molti giovani, studenti universitari e anche qualche famiglia. Un pubblico che solitamente partecipa a eventi più ludici, e che questa volta ha deciso di partecipare a una forma nuova di chiacchierata scientifica”. D’altronde FameLab è un format che associa scienza e spettacolo, dove quindi il pubblico è centrale.
FameLab sui media italiani è stato spesso chiamato l’X-Factor per scienziati, una definizione che piace (abbastanza) ad Alfonsi. “Aver associato questa competizione a X-Factor ha fatto arrivare rapidamente il messaggio a chi leggeva. Inoltre ci ha permesso di dire perché FameLab è profondamente diverso da un talent show. I contenuti sono infatti lontani dall’esibizionismo che spesso caratterizza i talent show. C’è in FameLab eccitazione e desiderio di vincere, come nei talent show. Ma c’è una densità di contenuti che i talent show si sognano, tanto più alta quanto più si pensa al fatto che si chiede a questi scienziati uno sforzo di sintesi molto profondo, e alle giurie è stato chiesto di valutare con molta attenzione il grado di equilibrio tra la quantità d’informazioni e la brevità del contenuto. Questo sforzo verso la qualità molto alta dei contenuti differenzia profondamente Famelab da un talent show così com’è inteso nell’accezione comune”.
Ma perché uno scienziato dovrebbe partecipare a FameLab? “Dai feed-back degli scienziati che hanno partecipato è emersa una curiosità per il formato nuovo e il desiderio di ‘pubblicizzare’ la propria ricerca e la propria immagine, e quindi far parlare di se stessi. Poi è emerso un altro aspetto, cioè l’idea che aver partecipato a questa esperienza significhi portare all’interno della comunità nella quale si opera quotidianamente una ventata di novità. Partecipare a FameLab è stato per molti scienziati l’occasione, non solo per mettere in discussione il modo in cui si può parlare di scienza, ma anche avere un’avventura da raccontare ai propri colleghi invitandoli a partecipare, perché c’è stata intensità, divertimento e stimolo per ripensare il proprio modo di comunicare al pubblico”.