CRONACA – “Dolce!”, si è detto fra sé e sé il topolino allenato a premere la leva quando suona la campanella. “Dolce”, ha pensato con un ritardo di circa 100 millisecondi quello che ha ricevuto il bocconcino senza alcun segnale acustico di avvertimento. Ecco, a grandi linee questo è quello che deve essere successo nel cervello dei ratti testati nel laboratorio di Neurobiologia e Comportamento della State University di New York per le ricerche sul gusto condotte da Alfredo Fontanini, italiano emigrato all’estero e premiato da Obama per i suoi studi sul gusto e sull’olfatto. Fontanini e il suo team hanno scoperto che i segnali acustici sono in grado di farci percepire un sapore più velocemente e, nell’articolo appena pubblicato sulla rivista Neuron, hanno descritto i dettagli della loro scoperta.
Un gruppo di ratti sono stati allenati a premere una leva dopo aver ricevuto un stimolo sonoro. La leva consentiva ad ogni ratto di auto-somministrarsi una dose di cibo, stimoli gustativi che comprendevano il dolce, l’amaro, l’aspro e il salato. Le stesse soluzioni alimentari sono state somministrate anche a sorpresa, senza che gli animali avessero mosso una zampa. L’auto-somministrazione o la somministrazione passiva attraverso una cannula che riversava il cibo direttamente in bocca hanno consentito al team di vedere quanto sono diverse le risposte quando è il ratto stesso a nutrirsi, registrando l’attività dei neuroni della corteccia gustativa in risposta a stimoli attesi o alla sorpresa del cibo. E si è visto che la differenza c’è: “Nei primi 100-125 millisecondi – spiega Fontanini, direttore del laboratorio – l’attivazione dei neuroni della corteccia gustativa è indipendente dal gusto. La rete, cioè, si prepara: il cibo entra in bocca e riconfigura la corteccia gustativa senza che questa sia ancora in grado di codificare, ossia capire se si tratta di un boccone dolce o salato. Dopo circa 100 millisecondi la corteccia è attiva, pronta ad analizzare la natura chimica dello stimolo. Quando, invece, viene dato uno stimolo acustico prima del cibo, questo consente alla rete neurale di prepararsi in anticipo; così quando il topo preme la leva e si auto-somministra del cibo, la corteccia è già pronta a codificare l’informazione. In questo modo il cervello risparmia tempo”. Ciò che risulta, quindi, è che il “suono del gusto” ha una ripercussione interessante sui nostri tempi di risposta e sulla percezione: ogni volta che incontriamo uno stimolo sonoro che anticipa il gusto, la nostra corteccia si attiva in anticipo.
In questo lavoro sono stati utilizzati stimoli gustativi diversi – per consentire agli autori di avere un’idea generale del meccanismo – legati ad un solo tono acustico, ma il gruppo è di nuovo al lavoro per affinare la ricerca: “Ora stiamo portando avanti studi più mirati su aspettative specifiche – precisa il ricercatore –; usiamo due stimoli gustativi (dolce e amaro) e due toni acustici diversi ad indicare i gusti e ciò che abbiamo già osservato è un’attivazione dell’amigdala”. Queste risposte ai suoni derivano da input della parte del cervello cui fanno capo le emozioni e gli stimoli che anticipano il dolce o l’amaro attivano la corteccia gustativa non in modo generico, ma piuttosto selettivo. È quindi dimostrata una stretta interazione tra la corteccia cerebrale (ossia la razionalità) e l’amigdala (l’emotività).
Nonostante gli esperimenti di Fontanini non siano stati condotti sull’essere umano, c’è un’assoluta consonanza tra ciò che accade nell’uomo e ciò che succede nei ratti: “Il dialogo costante che c’è tra noi e i ricercatori che conducono studi in questo settore direttamente sull’uomo – conclude il direttore – ci hanno permesso di capire che non solo attingiamo a teorie simili, ma che negli studi sull’aspettativa e sul gusto osserviamo gli stessi fenomeni. Ci piacerebbe pensarci molto più evoluti dei ratti, ma in effetti, sotto molti aspetti, non lo siamo.”
Crediti immagine: Annemarie Waugh